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3 miti sulle soft skills

“Un uomo non è pigro se è assorto nei propri pensieri; esiste un lavoro visibile ed uno invisibile”. V.Hugo

3 Common Myths About Soft Skills, Busted titolava un articolo di Samantha McLaren su LinkedIn del 29 aprile 2019 in cui riporta le parole di Kristen Hamilton, cofondatore di Koru. Con il suo articolo l’autrice declina quelli che secondo lei sono i 3 miti sulle soft skills. Articolo interessante e che, a mio avviso, apre a diverse riflessioni.

Primo mito: più sono le soft skills possedute dal candidato, meglio è. Concordo con la McLaren, questo non è vero. Ciò che rende unico quella posizione appartiene, ovviamente, a quella posizione e basta quindi non è sempre vero che più sono le soft skills possedute dal candidato meglio è, piuttosto è meglio possedere il giusto mix di competenze richiesto da quella posizione. Oltre a questo le caratteristiche di quel ruolo possono variare al variare del contesto, ovvero il mix di caratteristiche che va bene in un’azienda probabilmente non andrà bene in un’altra anche se il ruolo è il medesimo. (Qui il Global Talent Trend 2019 secondo LinkedIn)

Fin qui nulla di strano, questi concetto sono ben conosciuti da tutti coloro che si occupano o si sono occupati di selezione del personale e di organizzazione aziendale.

Secondo mito: valutare le competenze in maniera informale è meglio che non valutarle affatto. Secondo una ricerca (nessuna fonte o metodologia d’indagine citata dall’autrice) quasi la metà degli intervistati afferma che le competenze trasversali sono fondamentali per la crescita dell’azienda. Credo che l’assunto di base sia corretto ma che sia comunque importante citare le fonti per non dare l’impressione di essere superficiali, cosa che la McLaren non fa. La seconda osservazione che mi sento di fare è in accordo con l’autrice: meglio valutare le competenze trasversali ma non a spanne. Importante è avere una metodologia logica, chiara, parametrica da applicare a 360 gradi che non dia l’impressione di fare le cose tanto per farle. Anche peggio è avere una modalità di valutazione delle competenze che fornisca risultati interpretabili a piacimento dalla direzione. Se il metodo valutativo non possiede queste caratteristiche meglio non avere alcun sistema di valutazione.

Un sistema di valutazione interessante è il Team Aware. Semplice, chiaro, veloce, web based, user friendly, disponibile sia su pc che su smartphone. E’ un 360 che lavora in auto etero valutazione ideato con il desiderio di aiutare HR Manager e professionisti delle risorse umane a costruire una mappa delle competenze trasversali dell’azienda che possa essere d’aiuto per lo sviluppo del personale, la formazione mirata, la gestione di percorsi verticali e mirati di empowerment di gruppo e coaching personale. Si basa su una batteria di ottanta domande provviste di quella che possiamo chiamare scala lie, che l’algoritmo di elaborazione dati sottopone randomicamente all’utente. Restituisce un diagramma bidimensionale con l’auto valutazione e l’etero valutazione a confronto e un report sui risultati a cui si aggiunge un diagramma tridimensionale di distribuzione delle competenze del gruppo e un report più particolareggiato. A questo link si accede per ulteriori specifiche.

Terzo mito: le competenze trasversali sono riconosciute universalmente. Infatti non è così, se pensiamo alla definizione di una competenza come la leadership, questa assume significati diversi a seconda del contesto, del ruolo, della cultura personale del valutatore e molto altro ancora. La definizione di cos’è quello che stiamo valutando è fondamentale affinché non ci siano dubbi da parte del valutato.

Ricordo ancora i commenti del personale di una banca che seguirono la valutazione delle competenze del personale. I dipendenti si sottoposero volentieri alla valutazione descritta come un modo per indagare i punti di criticità per approntare un piano personalizzato di crescita individuale. Dopo un mese dalla somministrazione del questionario non avevano ancora ricevuto un feedback dalla direzione HR. Quando i malumori arrivarono fino al CDA, per non rischiare un impatto negativo sul clima interno, il management impose alla direzione HR una restituzione dei risultati a tutto il personale in sedute individuali. Fu un disastro, in pratica il feedback venne dato frettolosamente, senza alcuna concretezza e non vi erano piani di crescita personalizzati. Le successive survey interne furono compilate dal 20% del personale e l’anno successivo bollate come inutili dalla direzione ed eliminate dal programma di gestione HR.

Morale: meglio fare bene che fare con approssimazione. Meglio non fare che fare con approssimazione.

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