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Si chiude una porta e si apre un portone

In un mondo che cambia, nella società liquida, il lavoro non può essere diverso se non altro perché di quella società che cambia è uno dei motori. La velocità con cui oggi cambiano situazioni e condizioni farebbe impallidire Marinetti e cristallizzare i quadri del Futurismo. La velocità sembra non lasciar tregua a nessuno, alle aziende che devono adeguarsi, alle persone che devono cambiare, al lavoro che sembra assumere sfaccettature diverse e impensabili fino a un paio di decenni fa. È in questo contesto che si sviluppano due storie, distanti e distinte, diverse ma complementari, parimenti belle. 

Sento al telefono Silvia Basiglio, è psicologa del lavoro, come me. Si occupa di risorse umane, come me. Scopriamo pure di essere coetanei. Ci confrontiamo esponendo subito le reciproche opinioni su questo mondo veloce fatto di azioni veloci dove spesso a rimetterci sono le persone. Silvia mi racconta la sua storia.

Biella, 2009. La crisi è arrivata e il suo effetto si sente. Il settore tessile è in ginocchio, iniziano i licenziamenti. Lei, HR di un lanificio della zona, è quotidianamente occupata in contrattazioni sindacali che hanno come obiettivo la riduzione del personale. È la mobilità per padri di famiglia, madri, figli… è un disastro. Uomini e donne che per anni hanno lavorato nella stessa azienda si ritrovano dall’oggi al domani con la lettera di licenziamento in mano e gli occhi lucidi. A consegnare quella lettera è lei, gli occhi sono gli stessi, le emozioni anche. Ma all’improvviso la notizia, una di quelle che ti sorprendono veramente perché non te l’aspetti: una proposta di assunzione come HR Manager in Manuex, azienda brianzola che, in controtendenza rispetto a quanto stava accadendo, aveva deciso di investire sul territorio, proprio a Biella, sui biellesi e su di lei. Non è un’occasione che capita tutti i giorni e Silvia non ci pensa due volte e dal compilare lettere di licenziamento passa a fare colloqui di assunzione, tutti i giorni, perché Manuex a Biella ha zero dipendenti e il target è 200. Capiamoci, la situazione contingente era economicamente favorevole per l’imprenditore: capannoni a basso costo, un territorio con una bassa conflittualità sindacale, fondi regionali, aiuti, sovvenzioni ma questo per l’imprenditore brianzolo era secondario. A lui interessava soprattutto una visione a lungo termine, un piano industriale, un progetto. In capo a qualche mese Silvia ha già fatto più di cento colloqui, ricollocando parecchi fuoriusciti dal settore tessile, alcuni con più di vent’anni di esperienza alle spalle a cui quella lettera pesava sul cuore. La voglia di rimettersi in gioco è tanta, a mancare sono le competenze. Silvia, supportata da una rete territoriale, inizia ad occuparsi di riconversione e con l’aiuto dei CNOS FAP del territorio programma e realizza corsi di formazione e riqualificazione per i più anziani ma senza dimenticare i giovani tecnici diplomati. 62 persone formate con un investimento più di 8000 ore tra aula e pratica e sostenuta coi fondi sociali europei. Ad oggi più del 80% delle persone assunte a seguito dei corsi di riqualificazione è ancora in azienda. 

La soddisfazione più grande? 

“Questo è un territorio a vocazione manifatturiera e spesso il lavoratore si identifica con il lavoro. Il successo qui è contribuire a creare qualcosa, produrre, è fare con le mani e si misura con il metro della qualità produttiva. La crisi non aveva privato i biellesi solo di un lavoro ma della loro identità più profonda. E’ stato quindi un momento toccante vedere uomini e donne rinascere, abbandonare la sensazione di aver fallito e guardare all’opportunità che gli veniva offerta come una rivincita personale”. 

E’ stato difficile convincere le persone a cambiare? 

“Tutt’altro. E’ stato proprio il desiderio di rimettersi in gioco subito che ha spinto le persone a prendere subito in considerazione la proposta, nessuna resistenza, grande interesse per i percorsi formativi e tanto, tantissimo desiderio di riappropriarsi della loro identità manifatturiera, anche se in un settore completamente diverso. Tieni presente” mi dice “che Manuex applica logiche produttive e concetti di lean manufactoring, una standardizzazione difficilmente applicare alla produzione tessile. Molto ha significato sapere che un imprenditore italiano aveva deciso di investire a Biella e non all’estero, per molti era quasi un sogno, una di quelle cose che senti in TV al telegiornale e mai crederesti possa accadere anche a te… e invece”.

Ma cos’ha portato un imprenditore brianzolo a Biella in un momento in cui tanti andava all’estero? 

“Il motivo sorprese anche noi quando ci spiegò che anche se Biella non era perfettamente collegata con le vie di comunicazione principali noi avevamo una cosa che all’estero difficilmente si trova: l’amore per il lavoro e la passione per le cose fatte bene. A lui serviva questo, interessava trovare persone con mentalità manifatturiera e con l’amore per quello che producono”.

Formenti e Giovenzana, la casa madre, la delocalizzazione all’estero l’aveva già provata. Un’esperienza necessaria per capire che le difficoltà culturali erano spesso un ostacolo che in Italia sarà difficile fare imprenditoria perché il costo del lavoro è alto ma quando fai prodotti di qualità diventa un falso problema perché non puoi permetterti di risparmiare, quello che devi cercare è il valore delle persone, le competenze, la voglia di fare bene. 

“L’operaio italiano ha molta responsabilità nei confronti del lavoro, riconoscenza verso chi gli dà il lavoro, ha la qualità come obiettivo e un senso di identificazione col suo ruolo. Sono caratteristiche importanti che un imprenditore accorto cerca ben più degli sgravi fiscali”. Atteggiamenti che rendono unico il dipendente italiano che appartiene alla generazione delle cose fatte in un certo modo nel senso che “oggi è molto più difficile trovare nei giovani questo tipo di approccio. Quella che chiamiamo società liquida altro non è che una società in continuo movimento. Mentre un tempo si riusciva a stare decenni nella stessa azienda e si aveva il tempo di appropriarsi della sua essenza, oggi è impensabile per mille motivi. Le giovani generazioni oggi danno valore all’esperienza inserita in un percorso personale e se può essere un bene aver abbandonato l’identificazione di sé col ruolo lavorativo, nel tessuto sociale viene a mancare un riferimento ed un valore che ha guidato l’Italia ad eccellere in campo artigianale e manifatturiero.

Cosa vorresti realizzare ancora sul tuo territorio? 

“Connessioni: il Biellese è sempre stato ricco di lavoro e non ha mai avuto grandi necessità di fare rete, oggi è sempre più necessario fare sistema. Mi auguro che il Biellese si trasformi da distretto mono prodotto ad ecosistema che si sostenga con il supporto e la collaborazione delle aziende per la crescita del proprio business ma anche per l’ambiente sociale con cui si rapportano. Non credo che ci sia più bisogno di aziende come scatole appoggiate sul territorio ma di soggetti economici che partecipino alla sua vita e sviluppo.”

Piero Vigutto

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