Mentoring. Una parola che credo sia stata usata in maniera impropria anzi abusata ed infilata in ogni dove pur di dare un tono ai contenuti trattati e alle proposte spesso farlocche di cui abbiamo sentito parlare spesso in questi ultimi anni. Mentoring, una strategia utilizzata per il ricambio generazionale, anzi no, per seguire il ricambio generazionale, meglio ancora, per supportarlo e, visto che ci siamo, per accompagnare il ricambio generazionale in tutta l’azienda che, si sa, deve essere svecchiata. Il Mentoring è diventato sinonimo di “Via i dipendenti anziani (che bloccano lo sviluppo) e avanti con i giovani (che però sono delle teste calde e sono ingestibili!)”. Tra parentesi i sottintesi che la frase insinuava, fuori parentesi la sterilità insulsa della frase.
Qualche tempo fa ci fu anche un progetto del Governo denominato “Staffetta Generazione” riconosciuta dall’articolo 41 del decreto legislativo 148/2015 e che prevedeva l’affiancamento di un neoassunto ad un dipendente senior che avrebbe accettato di lavorare part time gli ultimi anni di carriera, previa compensazione prevista con incentivo, per lasciare il posto alla giovane leva. Attraverso questo strumento il Governo sperava di aumentare l’occupazione giovanile, convinto ancora che la difficoltà di entrare nel mondo del lavoro sia da imputare alla presenza in azienda dei dipendenti meno giovani. Personalmente li boccio tutti in economia del lavoro così come il mercato e il mondo delle imprese ha bocciato questo progetto.
Non mi illudo di avere la ricetta magica, nessuno ce l’ha ma, ma se vogliamo davvero strutturare un progetto valido per lo svecchiamento delle competenze in azienda dobbiamo ragionare in maniera diversa da come si è ragionato per mezzo secolo. Un giorno stavo leggendo un articolo sul Mentoring e la proposta che l’autore faceva era davvero interessante. Anche qui non credo che sia la panacea di tutti i mali ma ritengo che il Mentoring sia un aiuto più concreto della “Staffetta Generazionale”.
Innanzitutto facciamo un po’ di chiarezza e diamo una definizione. Se chiedete a Google cos’è il  Mentoring ricevete questa risposta:
“Attività di formazione aziendale effettuata affiancando lavoratori più esperti a quelli appena assunti”
La spiegazione è chiara. Non c’è nessuna formula magica né altre amene attività portate avanti dagli psicocosi che spesso bussano alla porta delle imprese per proporre rituali magici con cui, a loro dire, possono risolvono tutti i mali del mondo. Il Mentoring è un passaggio di conoscenze che avviene attraverso la formazione effettuata affiancando lavoratori neo assunti a quelli esperti. Il fulcro della questione sta proprio nella definizione appena data: l’affiancamento tra esperti e meno esperti non descrive la direzione del flusso formative ovvero non definisce “chi insegna a chi”, definisce solo un flusso.
Il Mentoring può quindi essere uno strumento interessante per svecchiare le conoscenze e inserire i giovani. Facciamo un esempio, quante volte vi è capitato di dover inserire in azienda un nuovo processo informatizzato e di trovare la resistenza dei più anziani? Quanto è stato difficile riuscire a coinvolgere le maestranze nei progetti di cambiamento? Lo sappiamo tutti, all’essere umano piace stare nella sua zona di comfort… ma al mercato no. A volte sarebbe bastata una spinta in più per convincerli, fosse stato anche un collega che li coinvolgesse con il proprio entusiasmo.
Ora provate a pensare a quante volte avreste voluto assumere il famoso “apprendista con esperienza” per evitare i tempi spesso troppo lunghi di formazione del personale. Ma niente, ancora non esistono, per fortuna, perché ogni età ha i suoi pregi e i suoi difetti ed è proprio facendo leva sui pregi di ogni età che il Mentoring o meglio il Reverse Mentoring può venire in contro alle necessità dell’impresa.
La differenza tra Mentoring e Reverse Mentoring si concretizza nella gestione del flusso informativo. Nel Mentoring si dà per scontato che sia il più anziano ad insegnare al più giovane, nel Reverse Mentoring, invece, lo scambio è reciproco. Pensate ad una condizione stabilita e condivisa dove il più anziano trasferisce l’esperienza del proprio lavoro al più giovane e il più giovane trasferisce al più anziano le proprie competenze tecnologiche che spesso sono un vero muro da scalare per i “diversamente” giovani.
Sia chiaro che il Reverse Mentoring non risolve il problema di occupabilità dei più giovani ma aiuta le imprese che assumono a gestire al meglio le capacità e le competenze che possiede, capitalizzando al massimo il tempo della formazione riducendo quello deputato al trasferimento delle informazioni. E’ chiaro che il dipendente, sia esso anziano o giovane, deve essere responsabilizzato affinché faccia suo l’obiettivo dell’impresa e questo si può avere solo investendo in comunicazione e relazionalità . Ma questo è un altro discorso.
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