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Storie di Welfare, come prendersi cura delle persone

Prendersi cura delle persone non è solo un modo di dire. Oggi, a qualche giorno di distanza dalla pubblicazione del mio ultimo libro sul Welfare aziendale vorrei raccontare una storia vera che parla di azienda, lavoro e considerazione per l’altro.Mi trovavo in un’azienda che mi aveva convocato per una consulenza per la gestione delle risorse umane. Una di quelle che si presentano davvero bene: begli uffici, investimenti in formazione cospicui tanto che ogni anno terminavano gli accantonamenti dei fondi interprofessionali e ne usavano di propri per portare il personale ai più prestigiosi (e costosi) corsi di aggiornamento, mensa interna completamente finanziata, smart working, e tutto quello che serve per far piacere il posto in cui si lavora.

Le carte nel mazzo c’erano tutte, la filosofia pure, mancava un modo per concretizzare il pensiero in un’azione tangibile che mostrasse, ancora una volta, quanto la direzione tenesse alle proprie persone. L’esigenza era quella di strutturare un Piano di Welfare Aziendale che rispondesse ai bisogni dei dipendenti. Proposi quindi di iniziare analizzando le necessità del personale. Mi dissero che non ve ne era bisogno perché l’azienda sapeva già di cosa necessitavano i dipendenti:

Non daremo buoni pasto e neppure buoni benzina. Il welfare va fatto bene o non va fatto, abbiamo deciso che elargiremo abbonamenti ad alcune riviste, non quelle di gossip perché qui non siamo dal parrucchiere ma quelle scientifiche. E poi abbonamenti a teatro, che così i nostri si fanno una cultura”.

a parte che le riviste di gossip le trovi pure dai medici, quel “abbiamo deciso” meritava un approfondimento. Osservando che era interessante che i dipendenti avessero mostrato interesse per musei, teatri e riviste “di un certo calibro” mi venne risposto che:

“No, no. Lo abbiamo deciso noi”.

Ecco, questo imprenditore non si era reso conto che stava perdendo un’occasione. Il welfare “fatto come dico io”, nonostante l’ammirevole intenzione di regalare un’occasione ai dipendenti avrebbe portato più danni che benefici. A questo punto era meglio dargli i buoni pasto.

In questo breve racconto la morale è quanto mai scontata: non sempre le buone intenzioni si tramutano in azioni degne di nota. Il lavoro del consulente è, a mio avviso, quello di suggerire senza imporre soluzioni diverse che orientino l’impresa verso le scelte più opportune per sé e per i propri dipendenti mostrando anche i lati più nascosti e dannosi di una scelta. Compresi le buone intenzioni e cercai di spiegare che il welfare imposto non era welfare e che l’idea, pur essendo interessante, non avrebbe riscontrato il favore dei dipendenti.

Purtroppo, nonostante le buonissime intenzioni del titolare, la predizione si mostrò giusta. Nessuno aderì al piano di welfare e il premio di produzione venne monetizzato in busta paga.

Con Enrico Bernini e Gianmarco Guerrini, siamo partiti proprio da questo concetto: ascoltare le necessità delle proprie persone per prendersene cura. Sedersi a quel tavolo per poter scambiare opinioni. Bersi un caffè con i dipendenti per capirne le necessità. Costruire un Piano di Welfare Aziendale che rifletta le esigenze vere, non presunte, del personale e che non sia un mero risparmio di costi.

Insomma, prendesi cura delle proprie persone.

Piero Vigutto

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