Covid19, tiriamo le somme ad un mese circa dalla chiusura delle attività e dalla clausura imposta per legge che, voglio chiarirlo prima di iniziare, lo considero un dovere sociale e sanitario nel rispetto degli altri la cui violazione costituisce giustamente reato. Questo articolo non vuole essere di certo polemizzare né fare critica sterile ma essere un punto di partenza per una riflessione più ampia. Cominciamo:
Covid19 #1 - L'economia reale
E’ bastato un mese, un solo mese per dimostrare anche a chi non lo avesse già capito, che non possiamo contare sulla finanza come volano per il sistema economico. Un mese di chiusura per bloccare una intera nazione. Un mese di serrata per rendere palese che il sistema economico è composto da piccole e piccolissime aziende, da artigiani e professionisti e non dai grandi sistemi finanziari. Un solo mese è stato sufficiente per dimostrare senza ombra di dubbio che l’economia è fatta di prodotti e servizi e non di magheggi finanziari, spostamenti di capitali, trading e compagnia cantando. Questo Paese è ancora fatto di gente che lavora, che si alza la mattina e produce qualcosa e non importa se l’output è un prodotto tangibile o intangibile, quello che conta nell’economia nazionale sono le persone e le loro idee.
Covid19 #2 - Milano allo specchio
Era chiaro da anni ma nessuno ha voluto crederci. Bastava circolare per le strade del capoluogo lombardo e parlare con i cittadini per comprendere che da Milano le aziende se ne erano andate da tempo, trasformandola da capitale economica e produttiva nazionale in capitale nazionale della finanza ben distante dalla vita reale dell’italiano medio e pure del milanese medio. Certo, continua ad essere distante dal resto dell’Italia, più a parole che nell’essenza, più nel pensiero di chi la guarda da lontano che nei gesti quotidiani. Non ce l’ho con Milano, né con i milanesi, dico solo che il baricentro produttivo si è spostato altrove e se non mi credete, leggete i reportage sul lavoro di Senza Filtro per cui ho scritto un articolo sull’economia pugliese.
Covid19 #3 - Di smart non c'è manco il pensiero
“La chiamavano Boccadirosa” dice una canzone di Fabrizio De Andrè. La canzone di questo periodo potrebbe intitolarsi “Lo chiamavano Smart Working” per descrivere una Nazione e un tessuto imprenditoriale evidentemente impreparato sia tecnicamente che nella forma mentis allo smart working. Tecnicamente perché la banda larga, nonostante le belle promesse degli ultimi governi, non è arrivata ovunque; nella forma mentis perché c’è ancora chi tra i titolari d’impresa non ritiene internet importante per il proprio business ma, soprattutto, perché prevale ancora un sistema antiquato che si basa sulle 3C (coordinamento, comando e controllo) del tutto inutile se applicato come 40 anni fa e ben rappresentato dalle parole del titolare di un’amica che ha recentemente affermato che per loro “Niente smart working, che se state a casa non fate un c***o”. Però c’è da dire che hanno un sistema di welfare… i buoni pasto. Di strada ne dobbiamo ancora fare. Confido che questa prova ci insegni che si può fare diversamente, che il controllo non è più in presenza ma può e deve essere riferito ai tempi e ai modi utilizzati per raggiungere gli obiettivi che il datore di lavoro ha indicato.
Covid19 #4 - Guerra tra poveri
La lotta di classe del XXI secolo assume forme diverse da quella del secolo scorso ed è stata evidenziata in questi giorni da commenti sempre più feroci rivolti a chi lavora da casa. Senza violare la privacy di nessuno, cercavo una prova tangibile che dimostrasse l’acredine che è nata dalla netta separazione tra chi sta in capannone a produrre e chi è a casa in smart working e che, fino ad ora, mi era stata comunicata solo verbalmente. La prova è arrivata proprio sul mio sito.
L’impreparazione del sistema aziendale, la mentalità arretrata, le 3C ma soprattutto la mancanza di comunicazione, hanno contribuito a far erroneamente percepire che ci sono persone di serie A, i privilegiati che stanno a casa a lavorare comodamente in pigiama, e persone di serie B, ovvero chi a casa ci va solo dopo aver sudato in capannone. Questo è il risultato di una comunicazione pessima che esaspera la percezione del rischio che trova la sua espressione in un commento a caldo ad un mio articolo su questo blog e che qui riporto. Vorrei dire ad Isidoro che andrà tutto bene ma lo farei imbestialire ancora di più perché non sono io ma il suo titolare a dovergli spiegare che lo smart working non è vacanze e pigiama ma lavoro da casa con i figli che ti saltano attorno e ti interrompono ogni tre secondi e che quindi di smart ha solo il nome. Però credo che tutti gli Isidoro di questo mondo dovrebbero invece sapere che a prendersela con i colleghi a casa per il Covid19 altro non è che una guerra tra poveri perché chi sta a casa non è un privilegiato ma un’altra vittima di un sistema impreparato. Probabilmente il titolare di Isidoro non cattivo ma solo disattento. Ai datori di lavoro di tutti gli Isidoro di questo mondo, dico che una sana comunicazione è la base per spegnere qualunque conflitto.
Covid19 #5 - I limiti della macchina statale
Il tutto e subito, l’armiamoci e partite, il prima faccio e poi penso… non hanno mai portato a nulla di buono. Il caso dei 600€ ai professionisti è emblematico.
- Fase 1: il proclama;
- Fase 2: l’ordine;
- Fase 3: il disastro;
- Fase 4: il rimpallo delle responsabilità;
- Fase 5: la colpa viene data al sistema informatico;
Anche questa volta la politica italiana non si è dimostrata all’altezza né per i decreti buttati lì alla meno peggio, né per i comunicati stampa che sui 600€ hanno illuso prima e deluso poi e neppure per i proclami che hanno alzato l’audience di qualche telegiornale e hanno poi riempito le stazioni di cittadini in fuga. Basterebbe togliere Twitter e Facebook a qualcuno e si risolverebbero molti problemi. Da un lato non dobbiamo stupirci se poi si sprecano i meme su Porhub che offre aiuto all’INPS ma dall’altro non dobbiamo neppure stupirci se le cose vengono gestite in questo modo. Nessuno era preparato a questo tipo di emergenza… e qui si apre la questione del Covid19 #6.
Covid19 #6 - Proattività al posto di reattività
Che non fossimo pronti, lo abbiamo già detto. L’emergenza Covid19 ha dimostrato che siamo ancora una società reattiva non proattiva, pensiamo al qui ed ora e non al futuro. Abbiamo peccato di ingenuità ritenendo che fosse solo un’influenza ed abbiamo reagito quando si è manifestata l’emergenza. Che ci serva di lezione. Nessuno può prevedere il futuro ma lo possiamo ipotizzare. Dobbiamo attrezzarci per essere proattivi preparandoci ad ogni possibile evenienza. Questo vale non solo per la società ma anche per le imprese che devono abbandonare definitivamente il concetto di resilienza per adottare quello di liquidità. Così come il liquido prende la forma del recipiente in cui è messo così deve reagire l’azienda con il mercato. La resilienza, ovvero la capacità di assorbire traumi e di mantenere la funzionalità ha dimostrato tutti i suoi limiti, non basta più la capacità assorbire i colpi ma diventa indispensabile assumere la forma dell’ambiente che muta costantemente e improvvisamente. Al concetto di liquidità si interseca quindi quello di viscosità: i tempi di reazione e di adattamento di un liquido al recipiente dipendono dalla sua viscosità. La viscosità è definita dalla capacità delle persone di immaginare, capire, adattarsi e reagire ai mutamenti.
Covid19 #7 - Quando piove, scompaiono gli ombrelli
Di tutti i discorsi che ho fatto non ve n’è uno che non si adatti al comportamento degli Stati membri dell’Unione Europea. E’ mancata di fatto una regia comune, come su tante altre cose, ed è il caso di dire che quando inizia a piovere scompaiono tutti gli ombrelli. Ognuno per sé e Dio per tutti, recitava il motto e così è stato. Una delle tante cose che il Covid19 ci ha insegnato, è che nessuno è immune e siamo tutti sulla stessa barca. Dopo tutti i corsi di team building in barca a vela che avranno fatto i super esperti europei, ancora non hanno capito che se vogliamo davvero essere proattivi è bene remare insieme e nella stessa direzione. Di più non dico perché non sono un esperto di politica estera, ma certi concetti sono talmente basilari e sono stati sbandierati per così tanto tempo che non mi capacito che ancora oggi ognuno pensi a sé lasciando che gli altri si schiantino sugli scogli come se questo non li riguardasse.
Covid19 #8 - La distanza da gestire è ben più di un metro
Si sprecano i nomi delle piattaforme per la comunicazione a distanza, per l’organizzazione delle riunioni, per farci i corsi. Qualcuna ha avuto problemi di gestione, altri di privacy, a quanto pare anche loro non erano pronti. Quello che però abbiamo imparato è che le riunioni le possiamo fare anche a distanza, che non è necessario rinchiudersi in un ufficio lontano da casa, che non serve rischiare la vita sulle strade. Sinceramente spero che anche questo sia un insegnamento che ci porteremo come valore aggiunto quando ritorneremo alla normalità.
Covid19 #9 - I fronti
Dicono che ci siano due fronti, quello sanitario e quello economico. Non è vero, ce n’è uno solo che è quello della coscienza collettiva volta al rispetto degli altri Sapiens. Quel che mi sorprende è che ci siano in giro tanti Minus Habens che se ne fregano delle più elementari norme di sicurezza dimostrandoci che esiste l’anello di congiunzione con i Neanderthal. Non sorprendiamoci, quante volte in azienda abbiamo sentito la frase “A me non capiterà mai” oppure “Ma cosa credi a tutte queste s*******e!”. Ecco, il Covid19 non lascerà una cicatrice solo nei polmoni di chi è guarito ma anche nella mente delle persone. Cambierà la percezione del rischio e di conseguenza la relazione con gli altri, con i luoghi di lavoro, con gli strumenti e, si spera, anche riguardo al rispetto delle regole. Dovremo fare i conti con la diffidenza e non sarà facile. La paura è un demone oscuro che si annida dentro di noi e, se non viene affrontata ed esorcizzata con gli strumenti giusti, si manifesterà improvvisamente con ripercussioni inimmaginabili per le relazioni umane e, per i più cinici, per il business.
Covid19 #10 - Il virus ammazza anche i sani
Il florilegio di attività formative e di supporto gratuite on line se hanno lenito in parte le sofferenze della clausura. Ho sentito qualche commento, non pubblicato, che diceva più o meno così “C’erano voluti anni, forse decenni, per far capire ai clienti che le consulenze si pagano e che quelli bravi si fanno pagare bene. Ora abbiamo fatto un grandissimo passo indietro. Vaglielo a spiegare ad emergenza finita che le consulenze non sono gratuite, che i webinar sono a pagamento, che la formazione e la consulenza di qualità si deve pagare. Credo che certe scelte abbiano sterminato anche i non contagiati a cui prima hanno impedito di lavorare e poi hanno dato 600€… forse”. Credo che in realtà ciò che ci salverà sarà la capacità di essere liquidi e proattivi, di offrire qualcosa di più, di essere diversi. Ciò che aiuterà i professionisti sarà la capacità di offrire un servizio che on line non si potrà mai trovare ma che on line trova il suo spazio che significa adattarsi alle nuove strategie e tecnologie utilizzandole al meglio. Da capo dovrà ricominciare solo chi non è già liquido.
Insomma, il Covid19 ha fatto emergere le criticità su cui dobbiamo lavorare per fare un passo avanti e non due indietro. Vedremo cosa succederà dopo la fine dell’emergenza. Sono fiducioso, del resto si chiede un cambio di rotta mica la Luna.
Piero Vigutto
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Luigi Rigolio
11 Aprile 2020Mi piace molto “Dobbiamo attrezzarci per essere pro-attivi”. La crisi che abbiamo visto è esattamente uguale a tutte le precedenti e a quelle che verranno (la storia insegna che guerra, epidemia, carestia si inseguono…). Purtroppo le risorse che scarseggiano sono la logica, la buona comunicazione, la cultura manageriale che sono alla base della pro-attività. Ad oggi un medico dedica il 99.9 % della sua formazione alla scienza e lo 0,1 alla comunicazione. Quindi arriviamo e arriveremo sempre a gestire le emergenze con il medesimo schema: reazione confusa, crisi e conflitti. inefficienze (morti, inquinamento, perdite economiche). Quindi come pensiamo di migliorare la proattività?
Piero
14 Aprile 2020Un bel commento Luigi. Credo che la soluzione non la troveremo mai se continuiamo a pensare a breve termine. La proattività la generi se sei responsabile nel futuro delle scelte che fai oggi. Purtroppo la storia ci insegna che nessuno è responsabile di quello che decide perché le conseguenze ricadono sempre su chi viene dopo che tra l’altro è diventata pure una giustificazione alla propria incompetenza. Un cane che si morde la coda.