La paura fa novanta e stavolta non è una delle simpatiche animazioni de I Simpson. La paura sta letteralmente fermando questo Paese. Scuole chiuse, aziende prese dal panico non fanno rientrare le persone al lavoro, PIL in caduta libera, clienti e fornitori che annullano visite, fiere cancellate e spostate a data da destinarsi. Siamo tutti bloccati.

L’unico effetto positivo, se si può definire così, è la riscoperta dello smart working da parte delle imprese. Poi, una volta terminata l’emergenza, vedremo se si tratta veramente di smart working o di telelavoro. Di certo questo è il momento per ripensare alle strutture lavorative consolidate negli anni e che poggiano sul controllo diretto e la presenza. Anche se si trattasse di puro telelavoro, l’emergenza sta dimostrando che c’è la possibilità di mandare avanti il business anche senza il controllo e la diretta supervisione e questo non potrà essere ignorato.
Guardiamo i lati positivi del lavoro a distanza:
- minori emissioni di CO2 nell’aria a beneficio dell’ambiente e della salute;
- diminuzione degli incidenti durante il tragitto da e verso l’azienda;
- creazione di un rapporto di fiducia con il proprio manager e con i colleghi;
- maggiore responsabilizzazione del dipendente verso gli obiettivi aziendali;
- la dimostrazione che investire in spazi ampi non ha alcun senso;
- risparmio in costi di gestione;
Questi sono solo i primi che mi sono venuti in mente, ma credo che se ci sforziamo ne troveremo altri. Le possibilità ci sono e sono praticabili (lo vediamo quotidianamente con i commuters), anche perché è terminata (da un bel pezzo) l’epoca del controllo diretto. Il paradigma delle 3C (Coordinamento, Comando e Controllo) non ha più senso di esistere, soprattutto per chi ha già provato ad essere smart nella vita di ogni giorno. Essere smart non significa lavorare durante le ferie, essere smart significa che la presenza e il controllo hanno lasciato spazio alla fiducia e alla delocalizzazione. Spero anche che, come dice David Bevilacqua, non si confonda lo smart working con il remote working.
Pensiamo ora al dipendente (riporto i dati di una ricerca condotta da CISCO):
Gli impiegati intervistati da Cisco a livello mondiale, hanno risposto in maniera chiara sulle loro volontà in ambito lavorativo:
- il 60% non ha la necessità di essere in ufficio per essere più produttivo;
- il 66% vuole una maggiore flessibilità lavorativa;
- il 66% dichiara che accetterebbe un posto di lavoro pagato meno, ma con più flessibilitÃ
L’obiezione è che in Italia pochi si possono paragonare a CISCO e l’ostacolo da superare è proprio questo. Non serve essere CISCO per avere queste risposte e non serve essere CISCO per essere smart, ci vuole solo buona volontà nel cambiare il paradigma con cui fino ad ora, sia aziende che dipendenti, hanno concepito il mondo del lavoro. E’ ora di essere liquidi, quanto liquidi lo decide il modello di business, è chiaro che un’azienda manifatturiera potrà avere solo una parte delle proprie persone in smart working mentre un’azienda di servizi potrà , in percentuale, vedere più persone interessate a questa modalità di lavoro.
Nel concetto classico di “vado a lavorare” rimane dura da sradicare la presenza in ufficio, senza la quale sembra che le persone non lavorino. “Difficile controllarli” mi disse una volta un manager. Il fatto è che se stai lì tutto il tempo a guardarli per essere sicuro che lavorino non fai il manager ma il cane da guardia. E’ ovvio che serve un controllo, ma serve ormai il controllo del raggiungimento dell’obiettivo, del risultato, non della persona.
Non esiste più neppure il problema di valutare le persone. Ci sono strumenti informatici che possono aiutare a monitorare l’esecuzione del lavoro seguendo e mantenendo inalterati i parametri della qualità , e ci sono strumenti che possono garantire la valutazione parametrica delle competenze trasversali. Oggi non v’è bisogno della sede fisica per monitorare il personale, dato l’obiettivo e la fiducia il resto viene da sé.
Va da sé che il cambiamento è nella mente delle persone, a tutti i livelli. Speriamo che, alla fine di questa emergenza, ci sia un cambiamento di paradigma radicale e non una marcia indietro ai vecchi modelli.
Piero Vigutto
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