Un alveare non è semplicemente la somma delle api, ma un vero e proprio organismo vivente con delle dinamiche e capacità peculiari che emergono dall’aggregato di api, senza che fossero prima visibili nei singoli individui. (cit.)
Un concetto che trovai anche nel libro si Stefano Mancuso “Plant Revolution” che ho recensito nella pagina #30giorni1libro in cui si ribadiva che l’organizzazione gruppale più diffusa al mondo non è quella verticistica ma quella diffusa. A pensarci bene, e Mancuso lo descrive certamente meglio di me (è un invito a leggere il libro), è proprio così. Il famoso branco di lupi, leoni o gorilla, fate voi, a cui viene paragonata l’organizzazione aziendale verticistica, non solo non è funzionale ma è anche un pessimo paragone.
- è un pessimo paragone perché ha fatto nascere il mito del maschio alfa, scambiando l’arroganza con la sicurezza, il dispotismo con la leadership, l’ordine tassativo con la delega, portando, di fatto, più danni che benefici. La realtà zoologica vuole che il capobranco si prenda cura del branco e non lo usi per il proprio tornaconto;
- è antifunzionale perché è costoso: si pone in capo ad un singolo individuo la responsabilità decisionale con tutti i rischi che questo comporta. Se il capo (branco) sbaglia rischiamo tutti. Più che lupi o leoni rischiamo di fare la fine dei lemming;
La formula vincente invece arriva dalla condivisione. Il futuro non è equamente redistribuito, per essere efficace la responsabilità deve essere distribuita sul gruppo, un gruppo in cui il singolo deve dimostrare responsabilità nel perseguire l’obiettivo del gruppo. Per dirla con le parole di John Nash “il miglior risultato si ottiene quando ogni componente del gruppo farà ciò che è meglio per sé… e per il gruppo…” (A beutiful mind).
Un mastermind è un momento di condivisione, durante il quale le persone che partecipano condividono problemi e criticità e dal gruppo arrivano le idee per risolverli. Due menti sono meglio di una, molte menti lo sono anche di più a patto che il gruppo non sia molto esteso (4 persone è il gruppo ideale) e ci siano delle regole di gestione della comunicazione interna altrimenti sembrerà di stare alla sagra del paese. L’obiettivo deve essere unico per tutti, il legame tra le persone deve essere ottimale. E’ anche vero che persone che condividono gli stessi obiettivi, agiscono in un ambiente in cui la comunicazione ha delle regole ben precise e nessuno si sovrappone agli altri è facile che si crei un ambiente prolifico dove il brain storming diventa un’attività da romanzo mentre la soluzione dei problemi diventa un’azione concreta. Altro fattore fondamentale: la sospensione del giudizio. La vera condivisione la si ha nel momento in cui una persona non si sentirà giudicata.
Riassumiamo quindi le condizioni in cui il mastermind si realizza:
- mente aperta al confronto;
- sospensione del giudizio;
- condivisione;
- facilitazione;
- gruppo ristretto;
- ascolto attivo;
- periodicità delle riunioni;
Mi viene da pensare ad un confronto con i normali gruppi di lavoro o le riunioni a cui partecipiamo sovente. Quanti di questi hanno le caratteristiche del mastermind? Quali hanno le caratteristiche dell’intelligenza diffusa? Pochi, spesso perché siamo costretti ad ascoltare senza intervenire, ubbidire senza contribuire. Perché? Perché siamo abituati così. L’organizzazione verticistica viene esaltata e imposta fin da piccoli: si ubbidisce alla maestra, si fa quello che dice il professore, si dice signorsì (per chi ha fatto il militare), si esegue quello che dice il “padrone”. Organizzazioni verticali che spesso male accettano variazioni al programma, la condivisione di responsabilità e di idee una condizione che poi si traduce in costi aziendali perché le occasioni sono viste più come fastidiose variazioni sul tema che come opportunità.
L’alternativa, quella spesso mal giudicata e altrettanto mal digerita, è più economica, duratura, adattabile ai cambiamenti. Il mastermind o l’intelligenza diffusa, se vi piace di più, è più fluida quindi permette alle organizzazioni di agire e soprattutto reagire in tempo ai cambiamenti di cui si colgono le opportunità. La diffusione della responsabilità del raggiungimento dell’obiettivo porta a dirigere il singolo e quindi il gruppo verso la stessa meta. Se c’è responsabilità non c’è più bisogno di una leadership (o leader sheep?) forte con un conseguente appiattimento delle organizzazioni che, sempre per gli amanti della contabilità, diventano in questo modo meno costose (più controllori hai, più costa l’organizzazione, minore sarà la sua efficienza). Al condottiero si sostituisce il/la compagno/a di viaggio, quello/a che ti agevola, che ti facilità, che ti mostra i pericoli del sentiero senza imporre la direzione… tanto sai già qual è perché hai scelto di fare un viaggio di gruppo, in fondo la meta (purpose) ti piace. In questo modo il gruppo in questo modo diventa luogo di espressione, fucina di idee, sostegno per chi mostra o vive criticità.
Pensiamoci, basta solo cambiare paradigma.
Piero Vigutto
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