“La mente utile è quella che ragiona, la mentalità è quella mia” mi disse una volta un anziano titolare d’azienda, aggiungendo che “se poi la mente del dipendente ragiona come ragiono io allora sono certo di aver trovato quello giusto”. Oggi lo sappiano, questo è un atteggiamento obsoleto che non trova concretezza e se la trova non dura molto… l’azienda intendo.
In un articolo carino quanto mai superficiale uscito oggi sul Sole 24 ore si parla di mentalità interdisciplinare. L’autrice cita una storia dal sapore romanzato ma efficace nella narrazione che mi ha fatto ricordare la mia maestra delle elementari, sempre prodiga di consigli utilissimi non solo per gli studi. La maestra Anna ci insegnò a studiare attraverso le associazioni di idee ovvero a collegare nozioni nuove a quelle già imparate. Un metodo interessante che nella mente di noi bambini si verticalizzava per materia come se ognuna fosse divisa in compartimenti stagni. Solo più tardi imparammo che i collegamenti trasversali alle materie sono altrettanto utili (se non più utili ancora) per ricordare nozioni e informazioni.
Qualche anno fa un carissimo amico che considero il mio mentore, consulente di lungo corso con esperienze nel sindacato e come HR Manager, mi disse che oggi chi lavora nelle risorse umane deve conoscere la normativa e le relazioni sindacali, i principi della contabilità e dell’economia aziendale, quelli della selezione del personale e della comunicazione, masticare un po’ di formazione (finanziamenti ma deve avere anche esperienza in aula), conoscere i tecnicismi delle mansioni che i dipendenti andranno a ricoprire e i fondamenti dell’organizzazione. Più lavori in uno, più competenze in una sola persona e questo perché il mondo si è complicato a tal punto da rendere necessaria la trasversalità della conoscenza. Saltare da una materia all’altra è quindi diventato più che mai necessario.
Abbiamo capito che le verticalità stanno bene a chi arrampica in montagna ma in azienda servono a poco. Ma qual è l’identikit della persona interdisciplinare? L’interdisciplinare è, ovviamente una persona con una solida competenza nel suo campo ma con un piede in quelli limitrofi che spazia da un argomento all’altro e, nonostante non sia un esperto di quella materia, sa di cosa si sta parlando e può intervenire con contezza. E’ una persona che sa mescolare nozioni e notizie in modo da estrapolare un ragionamento diverso perché è di questo che l’azienda ha bisogno: un ragionamento diverso.
L’anziano titolare d’impresa che mal sopportava chi non la pensava come lui si è certamente giocato la possibilità di inserire qualcuno con una visione diversa. Il valore della persona interdisciplinare sta proprio nella capacità di proporre domande che trovano risposta al di fuori dello stretto ambito di competenza. L’interdisciplinare è quindi un curioso esploratore del mondo circostante che non si ferma alle classiche stantie risposte. Sicuramente un attento lettore con una vita sociale attiva. Chi meglio degli altri ci può insegnare o comunque incuriosire raccontandoci esperienze vissute da cui possiamo trarre spunto per idee nuove?
L’interdisciplinare è quindi un ascoltatore, una persona che non si isola nel proprio guscio di certezze ma che fa del dubbio lo sprone per acquisire altre informazioni. Insomma, sa di non sapere o di non saperne abbastanza e questo lo spinge ad informarsi. E’ anche una persona consapevole che non si può sapere tutto di ogni materia e professione e quindi sa che arriva il momento in cui si chiede, l’interdisciplinare è quindi umile. E’ anche un buon comunicatore perché nessuna persona interdisciplinare può esimersi dal trasmettere le informazioni di cui è venuto a conoscenza proprio perché è continuamente spinto dal desiderio di confronto. Deve quindi essere un mentore per trasmettere agli altri quello che sa.
L’interdisciplinare però non è un mero accademico ma una persona concreta che sa contestualizzare nell’esigenza emersa qui ed ora le nozioni apprese, le esperienze fatte e quelle ascoltate. L’interdisciplinare ha una mente sempre in movimento che non si stanca mai di lavorare. L’incapacità di fermarsi è forse la maledizione dell’interdisciplinare. L’altra maledizione dell’interdisciplinare è quella di richiedere sempre nuovi stimoli e quindi di non attecchire in ambienti sterili, fortemente verticalizzati e poco dinamici. Questo potrebbe essere anche un segnale per l’organizzazione: se l’interdisciplinare (vogliamo chiamarlo talento?) se ne va, o neppure entra, allora chiediamoci il motivo. Forse è l’organizzazione a non avere le caratteristiche di sviluppo e di curiosità che oggi vengono chieste dal mercato.
Piero Vigutto
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