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Bonus assunzionali e sociali. Perché non risolvono il problema

Bonus fiscali per rilanciare la natalità in Italia. Appena sentita la notizia non ho potuto fare a meno di notare alcune similitudini con fatti che coinvolsero la mia famiglia in un tempo in cui neppure i miei genitori erano nati.

Un centinaio di anni fa la mia bisnonna venne insignita con una medaglia al merito e qualche soldo perché madre di famiglia numerosa (11 figli di cui 1 morto alla nascita, 1 in guerra e 9 arrivati alla senilità). Sull’encomio c’è scritto a lettere cubitali “solo i popoli prolifici hanno diritto ad un impero” (o qualcosa del genere).

Da dove partiamo

bonusE’ da qualche giorno che resto folgorato ad ogni servizio del Tg in cui si affollano dichiarazioni più o meno fantasiose in merito a “un milione di posti di lavoro”, già sentita pure questa (e mica una volta sola), che verrebbero coperti dal lavoro femminile e sgravi fiscali le tasse a chi fa figli spacciate come soluzioni originali e impattanti sulla nostra società. Ora, i due argomenti sono apparentemente disgiunti ma in realtà sono così intersecati da essere quasi un argomento unico. Che il calo della natalità sia un fatto nessuno lo nega, che questo in qualche modo sia una delle cause della mancanza di manodopera è altrettanto assodato ma che tagliare le tasse a chi fa figli sia il modo giusto per supplire ad entrambe le esigenze nutro fortissimi dubbi. Che manchino un milione di candidati a copertura delle vacancy possiamo anche far finta di crederci ma che questi numeri vengano coperti in un unico modo lo vedo davvero fantasioso.

Voglio essere chiaro fin dall’inizio: questo non è un articolo politico ma di economia delle risorse umane (più o meno). Sembra quasi divertente osservare come la banalizzazione del problema incontri (non) soluzioni ancora più banali spacciate, ripeto, come frutto di un pensiero pensante. Quasi divertente perché tali supposte soluzioni non sono soluzioni ma solo supposte. Vediamo insieme per quale motivo:

Un paio di punti, tra i tanti che si potrebbero trattare

Punto primo, più nati significa più persone che lavoreranno in un futuro che non è neppure tanto prossimo perché ci vorranno almeno 20 anni per avere manodopera locale. Mi pare una soluzione poco applicabile perché nel frattempo cosa fanno le imprese, aspettano? Direi quindi di scartare questa idea e di metterla nella scatola con su scritto “faceva ridere”.

Come mi ha detto Giuseppe Laregina, con cui mi sono confrontato sull’argomento e che mi ha dato molti spunti e fonti su cui ragionare, “Mancano stipendi in grado di poter progettare e soprattutto la rete di strutture e servizi in grado di sostenere la scelta di diventare genitori. Basterebbe guardare ai dati del Trentino Alto Adige per capire come se offri servizi e stipendi corretti le persone poi agiscono con fiducia rispetto al futuro”.

Secondo, togliere le tasse non aumenta il desiderio di avere figli come aumentare i bonus assunzionali non aumenta la possibilità di assumere personale, lo abbiamo visto in tutti questi anni di leggi e leggine che rispondevano con fondo alla richiesta di competenze. Di fatto un fiasco per due motivi, tra i tanti: se un’azienda necessita di competenze, paga quello che c’è da pagare. Un’azienda che assume solo chi è portatore di sgravi fiscali o bonus assunzionali non guarda alle competenze, se non guarda alle competenze non punta alla qualità del lavoro e se non punta alla qualità del lavoro allora è già morta e non lo sa (semicit.). Allo stesso modo il desiderio di avere un figlio non è legato la presenza di un bonus ma ad un progetto di vita che però si infrange contro alcuni scogli.

“Nessuno si potrà mai fidare di un bonus che oggi c’è e domani chissà … e se capita “chissà” mica puoi esercitare il diritto di recesso rispetto al bimbo” (cit. Giuseppe Laregina). Un pensiero che sicuramente hanno fatto in molti e che dà la misura di quanto sia cedevole il terreno su cui si sostiene questa proposta.

Facciamo un esempio

Facciamo un esempio. Poniamo il caso di una persona che lavora full time e decida, com’è giusto che sia, di avere un figlio. Poniamo che per questo motivo possa beneficiare di un bonus fiscale di X mila euro. Ora, con il bonus fiscale in mano, ha un bambino da accudire e poco importa che sia single o in coppia perché ora davanti a sé ha un problema non da poco: a chi lo lascia quando va a lavorare? Dovrà avvalersi per forza di scuole per l’infanzia pubbliche (quasi impossibile trovare un posto) o private (costosissime). Un’alternativa potrebbe essere quella di chiedere il part time o beneficiare dello smart working, ma sappiamo troppo bene qual è il pensiero comune su questi due istituti. Rimane la terza opzione: rinunciare al lavoro per accudire la prole… ma con un bonus di X mila euro in mano.

Ecco che il cane si è morso di nuovo la coda ed ecco come siamo giunti al naufragio sia del progetto da un milione di posti di lavoro coperti da manodopera locale, sia quello del bonus fiscale per chi fa figli. Due su due è proprio una debacle. Spiace, perché spiace davvero che a rimetterci sia il futuro del nostro Paese. Spiacerà altresì nel vedere che quando questi progetti non porteranno a nulla ad essere incolpati saranno sempre i soliti giovani che non vogliono lavorare né fare figli. Spiace perché la semplificazione di un sistema complesso porta a soluzioni semplici e quindi inefficaci. Spiace anche perché si fa presto a dire bonus ma poi a pagarlo sono sempre le generazioni future che, in questo caso, rischiano di non esserci e di lasciarci con il cerino in mano.

Piero Vigutto
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