L’effetto gabbiano nella comunicazione è un effetto che ho scoperto da poco, anzi, ho codificato da un po’ ma il desiderio di scriverci un articolo è nato da poco. Diverso tempo fa scoprii questo effetto interessante che coinvolge tutti gli esseri umani e da cui sembra non ci sia modo di liberarsi. In realtà qualcosa si può fare.

L’effetto “gabbiano”, dall’inglese seagull, mi sovvenne durante una di quelle rare serate in cui non avevo voglia di mettermi al computer a scrivere. Aveva prevalso il desiderio di divaning (per continuare con gli inglesismi maccheronici di cui possiamo fare tranquillamente a meno) e durante la visione di uno di quei B-movie che popolano i canali TV meno famosi il cui protagonista sbaraglia i nemici facendone polpette a mani nude, come un insight l’assonanza del cognome dell’attore (Seagal) con la parola inglese seagull (gabbiano) fece emergere un collegamento interessante con un fenomeno che avevo notato e che spiego durante i miei corsi sulla gestione della comunicazione interpersonale efficace in azienda.
Ma facciamo un passo indietro. Tutti conosciamo il meccanismo della comunicazione che vede impegnati un Emittente e un Ricevente nella trasmissione di un messaggio codificato e che ha come risposta la ricezione di un feedback (o risposta). In una specifica condizione si verifica l’effetto gabbiano.
La condizione in cui si verifica l’effetto gabbiano è quella di scarso feedback o di feedback non chiaro. Quando il ricevente non risponde, dà una risposta evasiva, poco precisa, per nulla chiara l’effetto gabbiano è in agguato e si verifica prontamente complicando la comunicazione che spesso diventa ingestibile, dà origine a fraintendimenti che offrono lo spunto per incomprensioni e per generare o esasperare la criticità nei rapporti interpersonali. L’ho visto succedere così spesso all’interno delle aziende da avere in repertorio una quantità pressoché infinita di aneddoti.
L’effetto gabbiano è potentissimo e sempre in agguato e per la sua spiegazione ci viene in aiuto il (quasi) omonimo attore. Nel film “Trappola sulle montagne rocciose” Steven Seagal è un super addestratissimo militare dei reparti speciali americani che si trova a dover fronteggiare un nutrito gruppo di cattivi capeggiati dal solito cattivissimo che ha deciso di sequestrare un intero treno tenendo in scacco il governo USA sotto la minaccia di una super avveniristica quanto improbabile arma di distruzione di massa. Senza scendere nei meandri della scontata trama, la spiegazione dell’effetto gabbiano si trova nelle parole del cattivissimo antagonista che manda i suoi sgherri ad uccidere Seagal. Al ritorno dei cattivi il dialogo è più o meno questo:
- Cattivissimo: “E’ morto?”
- Cattivo: “Sì, è volato giù dal treno”
- Cattivissimo: “Avete visto il corpo?”
- Cattivo: “No, però…”
- Il cattivissimo assesta un sonoro manrovescio al cattivo affermando che “La supposizione è la madre di tutte le cazzate”
Ed eccolo, l’effetto gabbiano: la supposizione.
Supporre che un dato feedback sia vero comporta una quantità di errori tali da rasentare il paradosso. Supporre significa di fatto inventare una (o anche più di una) spiegazione alternativa che poco (o quasi nulla) ha a che fare con la realtà delle cose. Eppure è così, l’essere umano suppone per spiegare il mondo che ha attorno e la supposizione affonda i suoi artigli nel rapporto tra le persone nutrendosi della realtà per digerirla e trasformarla in altro. L’interpretazione della realtà è già complicata quando la comunicazione non è insidiata dall’effetto gabbiano, quando poi il volatile si insinua diventa quasi matematicamente distorcente rispetto alla effettiva realtà delle cose.
Da qui la domanda: come possiamo fare per evitare il famigerato effetto gabbiano?
La risposta è talmente scontata che nessuno ci pensa mai: verificando le informazioni. E la verifica non è molto difficile da fare, basta chiedere. Se vengono lasciati dei sospesi, l’effetto gabbiano si insinua come un cuneo e fa danni, ma se i sospesi vengono chiariti l’effetto gabbiano si verifica meno e con una dirompenza minore. L’invito quindi è sempre lo stesso: chiedete, chiedete e poi chiedete. Una domanda in più non ha mai fatto male, una domanda in meno ha rovinato per sempre splendidi rapporti.