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La zona di comfort: uscirne è solo un’illusione

Uscire dalla comfort zone è il mantra di questi ultimi decenni “Se non esci dalla comfort zone sei uno sfigato e ti accontenti” oppure “La comfort zone la devi distruggere per stare bene” e anche “La comfort zone va demolita per creare un te stesso diverso” …e se invece di distruggerla ne creassi una in cui il te diverso vive in armonia con gli obiettivi che vuoi raggiungere? Credo che la comfort zone sia stata spesso osservata solo da un punto di vista e mai dall’altro che adesso andrò a declinare. Per farlo però corre l’obbligo di estraniarsi momentaneamente dalle proprie convinzioni.

Prima bisogno di un chiarimento, non che non sia ovvio per tutti ma a volte il Diavolo si nasconde nei dettagli. Se sto in una zona di comfort significa che sto bene. Se esco dalla mia zona di comfort entro in una zona che non è confortevole. Credo che sia tanto banale quanto doveroso chiarire che le due zone sono antitetiche.

Detto questo possiamo iniziare ribaltando i punti di vista. A te che leggi, faccio una semplice domanda: c’è un luogo, un gruppo di persone o una sola persona con cui stai bene? Sicuramente, ce l’abbiamo tutti. E cosa facciamo quando non stiamo bene? Cerchiamo quel luogo o la compagnia di quelle persone che ci fanno stare meglio. E come si chiama quel luogo fisico, figurato o anche mentale che ci fa stare emotivamente meglio? …zona di comfort. Questo significa che la zona di comfort in realtà la cerchiamo e ci stiamo comodi comodi. Lo so, lo so, questo stride con quello che ci hanno detto per decenni: la zona di comfort è il demonio e va ripudiata! E invece, vista dalla prospettiva che ho appena descritto, non sembra poi così male. Se pensi invece che sia ancora il demonio e che io sia impazzito, dammi ancora un po’ di fiducia e sospendi il giudizio mentre prosegui con la lettura.

Il primo aspetto debole della teoria dell’abbandono della zona di comfort è proprio il suo “abbandono”. Quando vogliamo far crescere una pianta ci premuriamo di creare l’ambiente adatto ponendolo in un substrato di terra buona, usando il concime giusto e nelle dosi corrette, dandogli luce, acqua e tutto il necessario affinché si trovi nelle condizioni migliori possibili. Fatto questo è molto probabile che la pianta cresca sana e forte. Lo stesso facciamo quando coltiviamo le nostre capacità e competenze, le poniamo in un substrato in cui si possono sviluppare. Se la teoria dell’abbandono della zona di comfort fosse vera, dovremmo piantare quel seme dove capita.

Se ancora il vostro ancoraggio alla teoria dell’abbandono è forte vi propongo un esempio pratico: quando impariamo a nuotare lo facciamo in piscina con un/a maestro/a di nuoto perché è una zona protetta e confortevole. Va bene, direte voi, c’è anche chi è stato buttato in mare accompagnato dalla frase “O impari o vai a fondo” ed è ancora qui a raccontarla, ma se avete pensato a questo siete vittime del bias della conferma ed avete preso ad esempio i pochi casi di successo e non i tanti che hanno rischiato di annegare. La domanda giusta da porci qui è: quanti sono stati buttati in mare e la lezione è finita in tragedia oppure da essa hanno ricavato non un insegnamento ma un trauma talmente forte da avere oggi paura dell’acqua? I corsi di nuoto si svolgono in piscina con il/la maestro/a perché quello è il substrato favorevole in cui il seme della competenza natatoria germoglia meglio. Allora è corretto dire che è nella zona di comfort che puoi sviluppare le tue capacità mentre buttarsi senza salvagente in mare, oltre ad essere la classica inefficace prova machista proposta nei corsi motivazionali stile anni ’80, è una grandissima follia.

“Abbandonare la zona di comfort ci fa mettere in gioco e ci costringe ad andare oltre i nostri limiti”. Rispondo a questa affermazione con l’affermazione che l’ispettore Callaghan pronunciò in uno dei suoi film: “Ogni uomo dovrebbe conoscere i propri limiti” che possiamo parafrasare con “Se non conosci i tuoi limiti e ti butti senza riflettere rischi di farti male davvero”. Reinhold Messner ha scalato tutti gli 8000 della Terra senza ossigeno ma non l’ha fatto svegliandosi la mattina con il pensiero di uscire dal letto e scalare la montagna per uscire dalla sua zona di comfort, lo ha fatto passo dopo passo, conoscendo i suoi limiti giorno dopo giorno, lentamente, per anni e poi, una volta pronto, è entrato nella Storia. Non si è buttato in mare (montagna) per imparare a nuotare (scalare) rischiando di andare a fondo (cadere/morire), lo ha fatto passin passetto. Prova ne è che quando da esperto scalatore, camminatore, alpinista ha sottovalutato la situazione è incorso in un banale incidente. Di fatto Messner non ha mai superato i sui limiti ma li ha conosciuti piano piano ed è rimasto ben dentro ai loro confini. La morale è quindi: la cosa più intelligente non è quella lasciare la propria zona di comfort ma quella di allargarne i confini preparando il passo successivo che poggerà sul sentiero della preparazione che si inerpica all’interno della conoscenza dei propri limiti.

“Se vuoi crescere devi lasciare la tua zona di comfort”. Ho sentito spessissimo questa frase riferita ai cambiamenti di carriera, alla lettera di licenziamento consegnata a sorpresa al capo, al “me ne vado per accettare sfide nuove”, tutte scelte giustissime che appoggio completamente se ti hanno fatto stare meglio ma se ti hanno fatto stare meglio non hai lasciato la zona di comfort, ne hai cercata un’altra. Semplifico molto le cose con un esempio:

  1. l’azienda in cui lavoravo è un’azienda che non mi gratificava;
  2. l’azienda in cui lavoro è un’azienda splendida e che mi gratifica ma non può darmi ulteriore spazio di crescita;

Ebbene nel primo caso è facile intuire che non ho lasciato una condizione di comfort. Nel secondo caso è altrettanto facile capire che la condizione ecologica che ha dato spazio alla mia crescita ora non la garantisce più e quindi la condizione confortevole si è trasformata in condizione non confortevole che mi spinge ad andarmene. Anche in questo caso non sto lasciando la mia zona di comfort. Con due semplici passaggi abbiamo appena demolito anche questo mito: non si lascia una zona di comfort ma si scappa da una non più confortevole.

Credo che a questo punto si sia sgretolata la convinzione che abbandonare la zona di comfort sia solo un’illusione. Noi le zone di comfort le cerchiamo. Del resto provate a pensare di vivere continuamente in una condizione sconfortevole, solo ad un masochista potrebbe piacere… ma in questo caso si troverebbe in una zona di comfort.

Trovo però scorretto demolire una convinzione senza dare un’alternativa su cui possiamo riflettere. Se è vero che noi non fuggiamo dalla zona di comfort ma cerchiamo di stare bene in un luogo, con determinate persone e in una certa condizione credo che questa zona di benessere debba essere costruita su misura per poi essere allargata sulla base delle esigenze personali che emergono con il tempo. Appare chiaro da quello che ho detto prima che la componente più forte della zona di comfort, quella che tutti cercano di ottenere, non è una condizione fisica ma psicologica.

Che tutto quello che abbiamo detto fino ad ora sulla zona di comfort è vero lo conferma il fatto che molte imprese stanno da tempo lavorando sull’engagement emotivo per creare ambassador e figure simili fortemente coinvolte con l’azienda affinché siano i naturali portavoce dei valori dell’impresa (ne abbiamo parlato ad #HRO2020). Ecco, i valori dell’impresa, siamo arrivati alla zona di comfort psicologico-lavorativa per eccellenza. Le coppie solide, quelle il cui rapporto dura decenni, non sono quelle che hanno gli stessi hobby ma quelle che condividono gli stessi valori. Lo stesso vale per imprese e loro collaboratori. Anche questa è la prova che rendere confortevole una zona attrae le persone che da essa non si vogliono più separare.

In buona sostanza vi hanno mentito, nessuno di noi scappa dalla zona di comfort definita come “senso duraturo di sollievo provato in seguito all’aiuto spirituale offerto da qualcuno” (Fonte: Google). La verità è che zona di comfort la cerchiamo, la creiamo e in essa ci immergiamo. L’altra evidenza è che un grande contributo alla sua creazione arriva dai rapporti sociali. La zona di comfort non è un’isola in cui stiamo da soli ma, alla fine dei conti, il con-forto altro non è che rendersi forti insieme e insieme stare bene come singoli individui… ma questa ultima riflessione merita un capitolo a parte.

Piero Vigutto

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6 Recent Comments

  • Nathalie
    29 Giugno 2021

    Articolo da rileggere e ‘spammare’ periodicamente a chi ancora non l’avesse capito 😁 grazie per aver enucleato l’argomento in maniera così chiara e direi incontestabile

    Reply
    • Piero
      1 Luglio 2021

      Grazie Nathalie, raccolgo il suggerimento e spammo di certo! 😀 Grazie mille

      Reply
  • Vale
    14 Marzo 2023

    Ci ho messo 60 anni per creare la mia comfort zone. Spinta dal nuovo mantra ho voluto uscirne e non ne ho tratto alcun vantaggio. Lasciatemi in pace, nel luogo dove meglio esprimo me stessa.

    Reply
    • Piero
      14 Marzo 2023

      Concordo. Ottima presa di coscienza. Spero che sia d’esempio per tanti. La zona di comfort non si abbandona se non per un’altra zona più confortevole. Grazie per la testimonianza

      Reply
  • Angelo D’Attoma
    20 Marzo 2023

    Articolo molto interessante che condivido.
    Bisogna imparare ad allargare la propria zona di confort con i propri tempi secondo le proprie esigenze.
    Non sempre gettarsi nel buio paga e genera sviluppo e progresso

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    • Piero
      21 Marzo 2023

      Salve Angelo, quello che scrivi è verissimo. Gettarsi nel buio significa rischiare di farsi male, allargare la zona di comfort è invece un’azione più intelligente. Grazie per il tuo intervento

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