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Il valore percepito non è il prezzo che si paga

Valore e prezzo sono concetti che si intersecano ma non sono la stessa cosa. Il valore ingloba il prezzo ed è una condizione percepita ed ha una dimensione più psicologica che economica. E’ opportuno, quindi, considerare questa dimensione psicologica nel momento in cui si tratta con le persone in quanto è fondamentale considerare che il prezzo non corrisponde (quasi) mai al valore percepito.

Possiamo avere tre condizioni:

  1. Acquirente e venditore danno un valore diverso al bene/servizio ma il valore che ad esso viene attribuito dal venditore è superiore a quello che viene dato dall’acquirente, lo scambio non si farà perché il prezzo richiesto dal venditore sarà decisamente più alto rispetto a quello che l’acquirente è disposto a pagare;
  2. Acquirente e venditore danno un valore uguale al bene/servizio lo scambio, probabilmente, non si farà comunque perché esistono una serie di asimmetrie informative che pregiudicano la fiducia tra le parti che il requisito fondamentale affinché lo scambio si faccia;
  3. Acquirente e venditore danno un valore diverso al bene/servizio ma il valore che ad esso viene attribuito dal venditore è inferiore a quello che gli viene attribuito dall’acquirente, lo scambio probabilmente si farà perché il prezzo richiesto dal venditore sarà accettabile per l’acquirente è disposto a pagare ed entrambi trovano un vantaggio nello scambio;

Quindi al di là del prezzo di scambio è il valore attribuito al bene/servizio a fare la differenza. Questo è ben visibile in azienda dagli straordinari all’aumento di livello, dal premio di produzione, alle ferie fino ai permessi richiesti. Tutto ha un valore (valore psicologico) che spesso non coincide con il prezzo pagato (valore economico).

Sembra quasi incredibile ma praticamente tutti gli scambi si svolgono prima su una dimensione psicologica e poi economica. Prendiamo il caso del premio di produzione. L’azienda è disposta a corrispondere una certa somma (valore economico) che viene attribuita al contributo offerto dal collaboratore in un tempo T. E’ recente una discussione affrontata durante un CDA su queste tematiche ove è emerso che il valore (psicologico) del premio percepito dal collaboratore era decisamente inferiore a quello corrisposto dall’azienda (valore economico) che non intendeva cambiarlo di un euro.

La discussione si è protratta per diverso tempo fino a quando è emerso che l’asimmetria che si era creata tra il valore percepito e il valore economico corrisposto era da imputare all’inesistente comunicazione tra dirigenza e collaboratore. Mancando un confronto tra le parti in cui venivano spiegati i parametri valutativi che legavano la performance al premio il valore percepito si era creata una distanza relazionale alimentata dal non detto, dalla sfiducia e dal sospetto.

Per risolvere la questione è stato proposto all’azienda di operare con maggiore chiarezza e di creare maggiore engagement attraverso lo strumento della gamification. In buona sostanza abbiamo inventato un gioco di ruolo con regole chiare a tutti a premi crescenti stabiliti in precedenza.

  • Ogni dipendente partecipava e giocava per sé ma anche per la squadra.
  • Nel caso in cui il singolo o una squadra gareggiassero solo per un vantaggio personale a discapito degli altri veniva penalizzato il singolo e tutta la squadra;
  • Premi e penalità corrispondevano ad un sistema di crediti il cui valore era conosciuto da tutti.
  • Il punteggio che veniva assegnato era calcolato sulla base degli obiettivi aziendali che dovevano essere raggiunti.
  • I risultati e il ranking erano visibili a tutti i collaboratori ed era dato dalla somma dei punteggi conferiti moltiplicato per un peso noto a tutti.
  • Il prodotto “punteggio x peso” corrispondeva, ovviamente, ad un premio in denaro per il singolo e per il gruppo.

In pratica con una spinta gentile (vedi il sistema dei Nudge) ed un gioco ad informazione completa siamo riusciti a raggiungere una serie di risultati:

  1. il valore dei premi era percepito in maniera eguale da entrambe le parti;
  2. vi era una comunicazione simmetrica tra le parti che eliminava qualunque malinteso;
  3. il gioco alimentava sia il team building che la soddisfazione personale;

La teoria dei giochi di Nash applicata alle scienze sociali assieme ad un pizzico di fantasia a volte fa miracoli. L’importante è avere il desiderio di mettersi alla prova, riflettere, testare e progettare qualcosa di diverso e mai testato in precedenza. Il fatto che sia inusuale non significa che sia inefficace.

Piero Vigutto

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