Maurizia Cacciatori la conoscono tutti, anche chi con lo sport non ha un grande feeling. Ex pallavolista ha collezionato titoli nazionali e internazionali, fino alla nomina come migliore palleggiatrice al mondo. Oggi Maurizia è madre di due bambini e si è costruita una carriera completamente nuova. Il suo libro “Senza rete” è il racconto di una donna che ha imparato l’arte più difficile: quella di reinventarsi per ricominciare.
Oggi Maurizia lavora moltissimo come docente per grandi aziende che si vogliono avvalere della sua esperienza come team leader al fine di migliorare la relazione di gruppo e dare un significato diverso alla parola “leadership” e alla gestione delle risorse umane.
Credo che la più utile sia l’empatia ovvero la capacità di capire rapidamente chi hai di fronte. Nella mia vita sono stata in campo con centinaia di giocatrici diverse, ognuna con la propria personalità e con palle diverse da schiacciare. Se non fossi riuscita a comprendere immediatamente chi avevo davanti per me sarebbe stata una strada molto complicata da percorrere, e avrei complicato anche la loro. Riuscire velocemente a capire chi hai davanti è sicuramente è importante per tutti i team leader, quasi fondamentale. Sicuramente questa è una competenza individuale, per qualcuno è una dote naturale, per altri un po’ meno ma partendo dal presupposto che tutto è allenabile si possono pensare percorsi creati con lo scopo di rafforzare questa competenza. E’ chiaro che per farlo devi avere di fronte qualcuno disposto a mettersi in gioco e ad allenarsi, se manca la motivazione non si va da nessuna parte. L’azienda non è diversa da una squadra, anche lì si lavora in team quindi ritengo sia un plus avere dipendenti che si allenano per sviluppare le loro doti collaborative e relazionali. Non voglio però essere fraintesa, questo non significa necessariamente essere amici. Spesso ho avuto team che non si sopportavano e nonostante questo abbiamo vinto molto. Quello che il gruppo deve condividere è un obiettivo comune. Non ci possono essere primedonne, ma giocatori che credono in quello che fanno e lo fanno per la squadra.
Le vittorie arrivano dopo tante sconfitte. Il sapore di perdere dà un valore maggiore all’importanza di vincere. All’inizio quando ero molto giovane la sconfitta per me era molto difficile da gestire, e in azienda vedo molti giovani manager che hanno la stessa difficoltà, questo da un lato è positivo perché è una dimostrazione di attaccamento all’azienda e ai suoi valori. Allo stesso tempo però la sconfitta deve essere vista come un’opportunità per avvicinarsi di più alla vittoria. Ogni membro del team deve saper gestire la sconfitta, diversamente può essere una vissuta come una condizione davvero deleteria per tutto il gruppo di lavoro.
Un leader deve avere la priorità di ascoltare e non sentire che è molto diverso. Io spesso vedo persone che sentono ma poi non ascoltano e questo è un problema. La prima qualità è quella dell’ascolto a cui deve seguire la volontà di creare altri leader. Se un leader non ha intenzione di creare altri leader non è un leader e questi due passaggi se sono forti vengono sentiti dal gruppo. Gli scontri comunque ci possono essere nel gruppo, impossibile che non ve ne siano, l’importante è abbiano la volontà di costruire non di distruggere. Anche in questo caso l’ascolto, il confronto, la ripetizione dell’esercizio, aiutano molto a fare squadra. Dietro ad ogni punto segnato c’è una schiacciata fatta bene e per arrivare lì ci sono ore e ore di allenamento. Nulla arriva senza l’impegno di tutti i giocatori, lo stesso accade in azienda. Io sono solita dire che le coppe si conquistano in settimana e si ritirano la domenica, che significa che dietro ogni vittoria c’è un allenamento costante il cui scopo principale è quello di far star bene chi è a valle del processo. Non posso pensare di servire una palla come voglio io e che questa vada bene all’attaccante, io devo servire la palla che va bene a chi attacca e quindi devo essere allenata a quel tipo di palla. Facilitare il lavoro degli altri è forse il miglior modo di descrivere il lavoro di squadra.
Non mi sono mai ispirata a qualcuno in particolare perché credo che ognuno abbia la propria identità, ma mi sono sempre chiesta come potevo essere utile velocemente al mio team, questo sì. Perché ne avevo bisogno io, per il ruolo della regista è fondamentale dare una mano, essere versatile, mettersi a disposizione, capire le altrui necessità, mettersi a servizio degli altri che non significa prostrarsi alle esigenze altrui ma, come dicevo prima, aiutare tutti per raggiungere l’obiettivo comune. Se non si comprendono le necessità degli altri l’obiettivo non lo raggiungerai mai. Se vogliamo fare un paragone con il monde del lavoro qualsiasi azienda, grande o piccola che sia, è un team perché nessuno lavora da solo e tutti abbiamo bisogno di collaborare. A volte lo vedo nelle imprese, c’è chi a parole dice di lavorare insieme e per gli altri, poi fa la sua strada da solo ed è il primo passo verso la sconfitta.
Come dicevo prima il leader è colui che ha volontà di creare altri leader perché se hai voglia di costruire anche per altri sei una persona lungimirante, perché ti prepari a lasciare il posto a qualcun’altro e in questo modo dai continuità anche alle tue azioni. Mi spiego meglio, nel mio libro “Senza rete” lo scrivo chiaramente, io volevo mettermi in gioco in un altro ambito perché sono curiosa e volevo uscire dalla mia zona di comfort per cimentarmi in altre situazioni lasciando spazio alle nuove leve. In un certo senso è un grande atto di responsabilità perché dai un contributo importante alla squadra che verrà. Se a chi viene dopo di te gli dai tutti gli strumenti di cui ha bisogno, gli insegni quello che sai, fai in modo di farlo crescere, quando te ne andrai elaborerà la tua eredità sviluppando un suo pensiero e creando la realtà di domani. Se ci pensiamo bene nei successi che avranno le persone che verranno dopo ci sarà anche qualcosa di tuo.
Beh questa è una domanda da 10 milioni di dollari. Il talento vede cose che altri non vedono ma deve essere messo a servizio della squadra, se lavori da solo non ottieni nulla. Nello sport ho visto straordinari talenti con cui sono anche riuscita a non vincere perché se io sono la più forte attaccante al mondo ma non possiedo le caratteristiche di cui parlavamo prima difficilmente riesco ad arrivare lontano. Il talento è per definizione una persona che gioca in squadra e che deve avere la mentalità del team. Questo significa dimostrare un grande senso di responsabilità, nella pallavolo quando si chiama la palla si dice “mia” che dà proprio l’idea della responsabilità acquisita: mi assumo la responsabilità del compito con tutto quello che consegue. Il talento esprime una grande responsabilità personale.
Ho vinto tantissimo e per ogni vittoria sono caduta mille volte. Ho dalla mia che sono uscita molto giovane, e questo mi ha aiutato perché fin da ragazzina ho capito si va avanti solo se non ci si piange addosso e non rinunciando al valore che vogliamo dare alle nostre vite. Chi cade deve avere il valore della vita che continua, bisogna rientrare in campo con quello che si ha e andare avanti anche se cambiano le condizioni del campo e i compagni di gioco.
Come prima cosa cerco di far passare loro l’importanza della capacità di saper scegliere da soli, questo è fondamentale. Mai essere indecisi, è importante saper prendere la decisione e, se va mela, assumersi l’onere di pagarne lo scotto. L’importante è che la scelta sia personale, meditata e non imposta. La seconda è di non tirarsi mai indietro, accettare le sfide della vita senza timore. Puoi anche perdere ma se perdi dopo aver dato tutto puoi sentirti soddisfatto e questo ti dà la forza di ripartire. Questo è il motivo per cui ho scritto il libro, un giorno mio figlio idi fronte alle divisioni mi disse “Mamma, è troppo difficile non ce la farò mai” e da lì è partito tutto. Non bisogna mai cedere di fronte ad una sfida, ma devi dare tutto quello che hai per superare il momento. Se non ce la fai almeno ci hai provato con tutte le tue forze. Poi vorrei insegnargli a prendersi in giro ad essere leggeri con se stessi e a non dare troppo peso alle cose. A volte fa bene ridere di sé, altrimenti si vive tutto con grande pesantezza. Dobbiamo anche saper spegnere il telefono e viverci la serata prendendoci un po’ di spazio per noi stessi.
Il mio è un libro che appartiene a tutti perché parla di di mettersi in gioco, di sconfitte, di vittorie, di scelte personali non facili. Vorrei dirgli di riuscire ad essere resilienti e di avere il piano B e se non ce l’hai di creartelo. La vita è fatta di grandi bivi davanti ai quali non si sa che strada scegliere, se hai perso il lavoro magari quello che troverai sarà mille volte meglio di quello prima oppure no. La perdita del lavoro è solo una parentesi della vita, l’importante è non abbattersi rimanendo in casa a piangersi addosso ma uscire e prendersi tutto quello che la vita ha da offrirti.
Piero Vigutto
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renato pilutti
24 Ottobre 2018Grazie Pietro, vado d’accordo con la tua creatività, che è diuturna, e conferma l’utilizzo intelligente delle tue energie e della tua cultura, mandi
renato pilutti
Piero
29 Ottobre 2018Grazie Renato. A presto