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Il tacchino, Reinhold Messner e la formazione in azienda

Siamo convinti di poter prevedere il futuro e tuttavia la nostra vita è governata dall’imprevedibile. La formazione sembra essere l’unico sistema per gestire il caso. Ma è proprio così?

Alcuni fatti accadono e non possiamo prevederli. Altri accadono ed invece erano tranquillamente evitabili. Come possiamo spiegare questi ultimi? Per quale motivo pur essendo deleteri tendiamo anche a ripeterli?

Per lo stesso motivo per cui Reinhold Messner, Reinhold_Messner_3alpinista che per primo scalò tutti gli 8000 del mondo, pur essendo abituato ad arrampicate pericolosissime si ruppe il calcagno in un banale incidente domestico. Le cause non sono univoche e per nulla banali.

A determinare gli esiti nefasti di alcune scelte non ci pensa il fato ma la nostra testa. L’operatore che si schiaccia le mani sotto la pressa, l’alpinista esperto che si rompe una gamba e un comune risparmiatore che investe nel mercato sbagliato, applicano lo stesso meccanismo cerebrale del tacchino americano del ringraziamento (cit. N. T. Nassim, Il cigno nero).

tacchinoIl tacchino cresce osservando ogni giorno della sua vita un placido allevatore che gli offre il cibo con le sue mani amorevoli. Un’azione ripetuta per giorni e giorni che fa credere al tacchino di essere al sicuro, fino a quando quelle stesse mani che lo hanno nutrito afferrano l’ascia per tagliargli la testa e cucinarlo al forno con le patate. Non so cosa pensi un tacchino in quella situazione ma un attimo di smarrimento deve averlo di sicuro. Il suo mondo di certezze crolla improvvisamente. Così accade per il investitore, l’operaio e l’alpinista che, dopo aver ripetuto migliaia di volte la stessa operazione in condizioni di complessità elevata, cadono vittime di banalità, della ripetitività o dell’imprevedibile.

Mi spiego meglio:

La banalità: Messner non si aspettava di rompersi una gamba in un incidente così sciocco proprio perché aveva scalato tutte le montagne più alte della terra. Probabilmente è stato vittima di un eccesso di sicurezza.

La ripetitività: l’operaio che incorre in un incidente utilizzando un macchinario che conosce benissimo dopo aver replicato le stesse azioni per anni, ha sempre compiuto correttamente la manovra e quindi non pensa minimamente di poter sbagliare, oppure ha sempre agito in maniera scorretta ma gli è sempre andata bene? Probabilmente è stato vittima del “ho sempre fatto così” (e mi è sempre andata bene).

L’imprevedibile: il nostro investitore ha analizzato attentamente il trend di mercato degli ultimi anni, individuando una particolare azione che ha avuto un andamento costante e crescente. Punta i suoi risparmi su quel titolo e… perde. Per quale motivo? Nessuno, a questo mondo, può prevedere il futuro tuttavia ognuno di noi, almeno una volta nella vita, ha agito come se potesse farlo. Anche in questo caso nel cervello dell’investitore è intervenuto il concetto che “è sempre andata così” e non ha tenuto conto del fatto che non si può prevedere il futuro tramite l’analisi dell’andamento del passato e che il prevedibile è sempre vittima dell’imprevedibile.

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Questo tipo di ragionamento non appartiene solamente a Messner, al tacchino, all’investitore o all’operaio. È proprio di ognuno di noi. Siamo fatti così, incapaci di calcolare correttamente le probabilità che gli eventi si verifichino.

Nella genesi degli accadimenti poco credo alla fortuna o alla sfortuna, molto alla causalità data dalle nostre azioni e alla casualità, definibile come incontrollabilità ed incomprensione delle conseguenze che le azioni degli altri hanno su di noi. La causalità è soggettiva e riguarda i comportamenti che più o meno consapevolmente mettiamo in atto in prima persona. La fortuna non esiste, così come non esiste la sfortuna. Questi sono solo i nomi che diamo alla causalità che si somma alla casualità. Se il risultato ci è favorevole lo chiamiamo fortuna, altrimenti sfortuna.

La domanda quindi è: visto che i meccanismi cerebrali che sappiamo o possiamo utilizzare nelle previsioni che facciamo del futuro sono fallaci, dobbiamo rassegnarci o possiamo in qualche modo evitare le conseguenze nefaste delle nostre azioni? Parte della risposta la troviamo nelle righe precedenti: non è possibile prevedere il futuro. Questo ci impone un certo grado di fallacità decisionale che comporta una seppur minima probabilità di trovarci nei guai. Tuttavia non disperiamo, possiamo limitare la possibilità di incorrere in determinate azioni tramite la formazione e la condivisione.

Fare formazione significa conoscere il fatto ed analizzarne le cause. Ciò fa diminuire la probabilità di reiterare comportamenti inappropriati.

La condivisione del sapere riduce la possibilità di catalogare come casuale l’evento, di prenderne atto e di informare gli altri sulle condizioni di rischio che precedono l’evento nefasto. Spesso, invece, l’evento nefasto viene nascosto. Il piccolo infortunio sottovalutato e catalogato come evento casualmente negativo all’interno di una serie di eventi positivi.

Morale: non comportiamoci come il tacchino, facciamo formazione e condividiamo le esperienze. A beneficiare di questo, saremo tutti quanti.

Piero Vigutto

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