Il danno, non il film di Louis Malle (Francia, 1992) con i bravissimi Jeremy Irons e Juliette Binoche ma nel senso stretto del “Termine che si oppone direttamente a vantaggio, giovamento, utilità, guadagno, per indicare l’effetto, soggettivamente considerato, di tutto ciò che in qualche modo nuoce a persone, enti, cose” (fonte: Treccani).
Il danno è una diminuzione, più o meno grave ed evidente, di efficienza o di consistenza, di prestigio o di valore, dovuta a cause fortuite o volontarie (altra definizione trovata su internet che descrive altrettanto bene il concetto). Il danno, di fatto, è la perdita di qualcosa a cui si tiene e non necessariamente è qualcosa di materiale. Spesso, infatti, il danno maggiore arriva dalla perdita dell’intangibile: pensiamo alla perdita del lavoro o di una relazione affettiva stabile, sono tutte perdite che non hanno concretezza fisica ma vengono comunque percepite come fisicamente presenti. Ne consegue una condizione di stress che mina l’equilibrio personale e del gruppo in cui si opera.
Di esempi ne potremmo fare mille ma preferisco concentrarmi su uno solo per evitare le altrettante sfaccettature che ogni caso potrebbe portare con sé. Cito il caso classico che appartiene sicuramente anche all’esperienza di tutti: la nuova risorsa che entra nel gruppo già costituito. Immaginiamo la situazione.
Poniamo il caso in cui vi sia un gruppo di lavoro precostituito, il cui clima sia ottimo in quanto le persone che vi fanno parte hanno tutte le caratteristiche del collega ideale: cordialità, comunicazione collaborativa, orientamento al risultato ma anche alla persona, ecc. Il gruppo è affiatato, quando c’è bisogno sono tutti presenti e l’azienda, che ha ben declinato gli obiettivi paga il giusto riconoscendo qualcosa in più quando vede impegno e disponibilità, non fa questioni di orario e se c’è bisogno di uscire prima o di entrare dopo non si oppone, anzi, agevola il rapporto vita/lavoro perché sa che il benessere delle persone è una leva per la produttività.
Insomma, il luogo in cui tutti quanti vorremmo lavorare ed è anche attrattivo quindi arrivano sempre un sacco di CV di giovani che sperano di trovare posto in quell’azienda. Siccome il lavoro va a gonfie vele, la proprietà decide di assumere altre risorse e procede all’analisi del CV, ai colloqui e alla fine sceglie una persona che chiameremo K. Questa nuova risorsa si dimostra valida fin da subito e sono tutti contenti.
Il tempo trascorre e K si inserisce bene nel gruppo ma dopo qualche tempo la proprietà nota qualcosa di diverso, non in K ma nel gruppo. Le persone che prima avevano a cuore gli obiettivi, a cui non veniva negata l’uscita anticipata o l’entrata posticipata, che hanno sempre manifestato entusiasmo e partecipazione, a cui non era mai stato chiesto più di quello per cui erano stati assunti, ora si lamentano spesso facendo riferimento a fantomatici carichi di lavoro eccessivi quando invece non è cambiato nulla rispetto all’anno precedente, guardano l’orologio e allo scoccar dell’ora gli cade la penna dalla mano e oltre a questi una serie di atteggiamenti che la proprietà interpreta come poco coerenti con quelli che venivano manifestati in passato e con la situazione presente.
La direzione non si spiega questo cambiamento perché, di fatto, oltre all’inserimento nuovo non è accaduto nulla di eclatante. Purtroppo è proprio quello che non sembra essere una criticità che poi si trasforma in un problema. Di fatto una variazione lieve c’è stata, l’inserimento di K ha di fatto scompigliato gli equilibri e, anche se non di molto, sul lungo periodo (più spesso è un breve periodo) gli effetti diventano visibili. K, con il suo comportamento fatto di atti volontari e altri involontari, ha spostato la barra del timone quel tanto che basta per cambiare la rotta del gruppo. K si rivela essere quel fattore 1%, come lo definirebbe Mazzucchelli, sufficiente a mutare la condizioni in cui tutti operano. Se è un atteggiamento casuale non possiamo saperlo, di certo è causale in quanto influenza, negativamente in questo caso, lo status del gruppo che da ottimale diventa difficoltoso da gestire e vivere.
Questo tipo di interferenze nella vita del gruppo sono normali e spesso portano ad un miglioramento della condizione originaria, l’errore è non chiedersi cosa ha portato ad un miglioramento. Spesso ci concentriamo su quello che è andato male quando ciò che è andato bene ha pari dignità nei confronti del quesito. Nel caso di un incidente ci si chiede come mai la macchina è finita nel fosso e mai quali sono stati i fattori che hanno portato il guidatore sano e salvo a casa. Il soldato che si esercita nel maneggio delle armi si chiede per quale motivo non ha colpito il bersaglio e quasi mai si interroga su quelli che sono i fattori che gli hanno permesso di fare centro.
Cosa può quindi aiutare a migliorare la gestione del gruppo? Anche qui possiamo fare delle ipotesi partendo dal caso in questione e tralasciando le esperienze precedenti conclusesi positivamente. Si noti che, partendo da un singolo accadimento, possiamo formulare una molteplicità di considerazioni che impatta praticamente su tutto il processo di gestione delle persone. Il motivo lo faccio risalire alla teoria della complessità che qui solamente cito, per un suo approfondimento suggerisco il libro Alessandro Cravera “Allenarsi alla complessità. Schemi cognitivi per decidere e agire in un mondo non ordinato”.
- il processo di selezione va rivisto anche se l’esperienza precedente mi fa dire che era sufficientemente accurato, questo ultimo inserimento mi dice che qualcosa è andato storto. Ad esempio, quasi tutte le imprese usano il colloquio come unico strumento di selezione senza sapere che porta con sé una quantità di bias interpretativi difficili da controllare;
- il processo di on boarding non ha funzionato. Considerazione altrettanto valida. Cosa è successo o non è successo durante l’inserimento della persona in azienda? Come ha reagito il gruppo di lavoro? Abbiamo considerato anche il non detto (che spesso è più pericoloso di quello che viene detto)?
- K ha ricevuto le comunicazioni correttamente? E’ stato dato qualcosa per scontato?
- qual è stato il tipo di comunicazione informale che K ha avuto con il resto del gruppo?
- …
Domande legittime che spesso non vengono neppure poste ma che hanno bisogno di risposte valide e che sono il punto di partenza per un altro cambio di rotta che porti il gruppo lontano dal danno.
Lavorare sul danno non è mai facile né è vantaggioso in quanto vanno ricomposti i cocci delle relazioni invece di concentrarci sul loro miglioramento. In questo caso le azioni preventive di supporto e formazione sono fondamentali affinché non si verifichino o non si ripetano situazioni sgradevoli che possono in qualche modo peggiorare le relazioni tra le persone che sono la base del benessere lavorativo e quindi della produttività del team.
Piero Vigutto
La tua opinione è importante, lascia un commento qui sotto o una valutazione a questo articolo oppure contattami alla mia mail. Grazie