
“E’ sull’anello debole che puoi misurare la forza della catena”. Ci hanno insegnato questa massima che sembra fare il paio con “E’ l’individuo più forte a vincere” retaggio di un darwinismo sociale che non trova alcuna concretezza nella teoria del grande scienziato ma che è stata utilizzata per giustificare le più bieche azioni di quelli che oggi vengono definiti “uomini forti”. I risultati sono sotto gli occhi di tutti e non serve dire altro in merito.
Lasciamo stare i darwinisti sociali e concentriamoci sulla “metallurgia sociale”. L’anello debole è il punto di rottura della catena, su questo non ci piove. Lo sa anche un bambino. Molti manager si sono dimenticati che, tira oggi e tira domani, poi la catena si spezza e quando è rotta non fa girare alcun ingranaggio e il meccanismo si inceppa. “Tira fino a quando non ce la fanno più” mi diceva un mio vecchio titolare “lì vedrai quanto resiste il più debole. Quando si è spezzato, cambialo e avrai una squadra più forte”. A quel tempo rabbrividivo quando lo sentivo parlare in questi termini di persone, rabbrividisco ora quando ricordo le sue parole.
Parliamo infatti di persone non di anelli di una catena. Partecipanti attivi ad un processo, non ingranaggi. Non mi riconoscevo assolutamente nella filosofia e men che meno nelle azioni del mio vecchio datore di lavoro perché:
- tutti le persone (gli anelli) sono diversi e non puoi farci nulla.
- non puoi lamentarti delle tue persone, le hai selezionate tu, se non vanno bene fatti due domande.
- se non funzionano in un team perché non spostali dove possono esprimere meglio il loro potenziale? Spesso l’errore che si fa è proprio questo, pensare che una persona se non raggiunge obiettivi in un ruolo non li può raggiungere neppure in altri ruoli. Non siamo tutti uguali (vedi punto 1).
- se fai in modo che le persone competano tra di loro per dimostrare chi è il più forte avrai di certo un vincitore ma non una squadra, un solista ma non un team. All’obiezione che “meglio avere tanti bravi solisti che una squadra di brocchi” rispondo che se sono tutti brocchi vedi il punto 2; se avrai tanti bravi solisti ricordo che i solisti restano solisti anche in mezzo agli altri solisti, alla fine della gara ci saranno tanti galli nel pollaio e altri che nel pollaio non potranno (vorranno?) manco entrarci. La conseguenza è che i secondi arrivati metteranno i remi in barca (o se ne andranno) e che i primi starnazzeranno beccandosi tra di loro, che va benissimo se vendi rumore o spettacolo, molto meno se fai un altro tipo di business.
Va cambiato il concetto di base: non sono anelli ma persone.
Proviamo a ragionare in maniera diversa:
- stimola la cooperazione non la competizione. I tavoli si reggono su almeno tre gambe, su un punto poggia solo la trottola. Su un tavolo stabile discuti e produci, la trottola è bella da vedere finché non casca per terra poi devi ricominciare da capo. Il tavolo è simbolo di stabilità, la trottola dello spettacolare instabile equilibrismo che non fa bene a nessuno.
- meglio ponderare molto bene chi vuoi avere in azienda. Spesso i risultati in termini di numeri non sono sufficienti e non sono di certo l’unico parametro a cui devi guardare. Avere ben chiare quelle che sono le competenze trasversali oltre a quelle tecniche è altrettanto fondamentale. Avere un buon sistema di selezione del personale è indispensabile per interiorizzare risorse adeguate. I modi per farlo efficacemente ci sono. Se poi siete alla ricerca di talenti… su questo mi sono già espresso.
- la ricchezza sta nella diversità. Nel poker non a caso vince la scala reale che ha lo stesso seme (l’obiettivo del gruppo) ma tutte le carte sono diverse (competenze e personalità diverse ma intersecabili). La scala reale vale più del poker dove troviamo 4 figure uguali ma con seme diverso. Interessante.
- imprescindibile la formazione. La debolezza di un anello non è insita in esso ma si crea anche attraverso la mancanza di formazione. Se pensi che la formazione sia un costo hai già perso in partenza e non per colpa delle tue persone.
- la competizione è fuori dall’azienda, non dentro. Porta la competizione all’interno e ogni anello della catena tirerà in una direzione diversa, sicuramente non nella tua. Inevitabile che qualche anello salti, poi probabilmente salterà tutta la struttura.
Abbandoniamo le catene e pensiamo ad altre strutture. Propongo il modello dei fili ritorti insieme: da piccolo imparai che un filo da solo regge fino ad un peso X poi si spezza, più fili ritorti insieme resistono ad un peso decisamente maggiore rispetto alla somma dei pesi che reggerebbe ognuno dei fili. Abbandoniamo quindi il concetto di catena che non ha alcun senso in azienda ed abbracciamo quello dei fili ritorti, simbolo di cooperazione e di collaborazione. Lasciamo stare i modelli che propongono competizione tra persone che fanno parte dello stesso team o della stessa azienda e riferiamoci a modelli di cooperazione. Ne beneficeranno tutti.
Piero Vigutto
Antonio Gagliano
14 Giugno 2020Naufragando su internet in cerca di definizioni di anello debole, catena e forza, trovo questo post interessante. Fuori dai soliti schemi mi crea nuovi spunti di osservazione. Soprattutto nel collocare il lavoratore come persona e non ingranaggio. Ottimo
Piero
15 Giugno 2020Grazie per il commento Antonio, dall’epoca di “tempi moderni” di Chaplin di passi avanti ne abbiamo fatti (per fortuna) ma molti altri dovremo farne. Dietro ogni divisa (bianca o blu) c’è sempre un uomo