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Non è fortuna ma coraggio

Audaces fortuna iuvat, la fortuna aiuta gli audaci. Navigando on line ho trovato anche Audentes fortuna iuvat, su Wikipedia leggo che è l’esortazione ad attaccare Enea rivolta da Turno ai suoi uomini. Questo passo di Virgilio non me lo ricordavo ma credo che mi scuserete, il liceo l’ho terminato qualche decennio fa, ahimè.

Alla fortuna sinceramente credo davvero poco, credo di più nel coraggio di chi intraprende una strada nuova e rischiosa per tentare di migliorare le proprie condizioni. Ogni cambiamento è un rischio e non sai mai dove ti porterà la strada che stai per percorrere. Tuttavia, se non fai il primo passo, non lo scoprirai mai.

Nessuno lo nega, è più facile rimanere nella famosa zona di comfort e continuare così come si è sempre fatto. Magari va liscia e nessuno se ne accorge, o magari no. Ogni scelta è un rischio, anche rimanere fermi ad aspettare. Mai però iniziare a casaccio. Iniziare una strada nuova prevede un piano organizzato che prende tempo e comporta fatica, analisi e ponderazione e, ovviamente, scelte.

Nell’ordine dobbiamo:

  1. capire che la strada vecchia non è più percorribile;
  2. analizzare più possibilità;
  3. scegliere quella che meglio si addice a noi;
  4. armarci di tutti gli strumenti necessari per percorrere quella strada;
  5. fare il primo passo appoggiando il piede su un terreno solido;
  6. mettere un piede davanti all’altro;
  7. avere il coraggio di cambiare le scarpe se quelle che abbiamo non sono così comode;
  8. varie ed eventuali;

No, non è per niente facile ma se non scegli di fare quel primo passo, anzi, se non comprendi che la vecchia strada non è più completamente percorribile allora resterà tutto come è sempre stato. Tutto sta nel decidere, comunque sia ci saranno costi da pagare.

Questo tipo di ragionamento vale per i cambiamenti personali e quelli organizzativi. Ho visto aziende che, davanti ad un progetto di change management, si sono tirate indietro dicendo che “al momento non siamo pronti per un salto così grande”. Va bene, va benissimo. Mai saltare se non sai di cadere in piedi ma se attorno a te tutti si buttano e sei l’unico a non avere il coraggio si saltare resti inevitabilmente indietro. E qui sorge una domanda: meglio saltare e rischiare di farsi male o non saltare? Alla fortuna, dicevo, credo poco. A questa domanda rispondo con i punti da 1 a 5 dell’elenco che ho fatto prima. Saltare o non saltare è una scelta che va ponderata con coscienza e dopo un’attenta preparazione.

Nella mia ventennale esperienza con le imprese ho seguito aziende di ogni ordine, grado, settore merceologico e dimensione. Che fossero PMI o multinazionali i progetti si iniziavano solo e sempre se c’era chi aveva il meditato coraggio di saltare e lo faceva nei tempi giusti, prima da qualche centimetro, poi da qualche decimetro e poi da metri e metri. Perché saltavano (saltavamo)? Perché erano (eravamo) sicuri di aver preparato il salto considerando ogni potenziale rischio e perché avevano (avevamo) capito che il gioco valeva la candela. Prima della chiusura per quarantena ricordo una PMI in forte espansione che ha confessato a se stessa di non avere un sistema efficiente di gestione delle persone e che questo in un futuro molto vicino avrebbe comportato lungaggini e ritardi, costi e rallentamenti. Abbiamo iniziato lentamente, considerando le varie strade, meditando su quale sentiero dovevamo percorrere per primo, controllando l’attrezzatura e preparando la partenza. Abbiamo strutturato un progetto e lo abbiamo portato avanti stabilendo tempi e modi, creando in qualche mese l’infrastruttura necessaria a gestire le persone dalla selezione alla formazione, dal welfare agli incentivi e, soprattutto, curando sempre la comunicazione interna in maniera chiara e trasparente, coinvolgendo il personale e informandolo sui progressi del progetto. E’ stato bello veder crescere una struttura e sentir dire alla fine “ora siamo pronti”.

E’ stata fortuna la loro? No, è stato coraggio, il coraggio di guardarsi allo specchio e di confessare dei bisogni per poi intraprendere un percorso. Di fare quel primo passo che poi li ha portati ad essere pronti per fare il salto e di saltare cadendo in piedi.

In questo periodo assistiamo purtroppo ad una mancanza di analisi e di coraggio. E’ sotto gli occhi di tutti, siamo ad un bivio importante e tornare indietro sarebbe davvero da schiocchi e da sprovveduti. Abbiamo letto tutti i vari commenti del sindaco Beppe Sala ed è rimbalzato sui social l’articolo del Corriere della Sera che parlava di Susan, l’avatar che rappresentava lo smart worker dopo 25 anni di attività. Terrorismo psicologico che sa di vecchio e stantio, di ritorno al passato senza considerare le necessità del presente e neppure le implicazioni per il futuro. Dichiarazioni e articoli che cercano di spaventare chi vuole fare quel primo passo, chi ha capito che da remoto si può fare tanto e bene. Per approfondimenti sulla qualità della vinta nelle megalopoli – ombelico del mondo, vi invito a leggere un bell’articolo di Luigi Olivieri rimbalzato sui social grazie all’instancabile attività di ricerca di Osvaldo Danzi e di Senza Filtro. Ma lasciamo stare queste questioni e vediamo come si può scegliere la strada giusta.

Quella proposta dal terrorismo mediatico è la strada del non cambiamento, della paura scelta da chi è senza coraggio e vuole affidarsi alla fortuna. Non credo che di strada ce ne sia solo una, credo che di strade ce ne siano tante e tutte personalizzabili. Iniziare un processo di cambiamento interno qualsiasi compreso iniziare a lavorare in smart working non è una banalità, non basta avere la rete, un pc e una webcam per essere smart, sarebbe come dire compro una macchina e so guidare. L’operazione è inversa, prima imparo a guidare e poi compro la macchina. Per iniziare a fare smart working serio serve partire dal primo punto: capire che la strada vecchia non è più percorribile. Se è ancora percorribile allora percorrila, non tutte le imprese possono essere completamente smart. Se invece hai capito che la strada vecchia ti porterà verso un burrone, allora non affidarti alla fortuna ma abbi il coraggio di passare al punto 2: analizzare tutte le possibilità.

Ma è il punto 3 che comporta un grande sforzo: scegliere quella che meglio si addice a noi. Le strada non sono tutte uguali. Il cambiamento va ponderato, il salto meditato. Ad esempio non è detto che ci sia per tutti la possibilità di essere al 100% smart workers anche perché, sinceramente, se non sai guidare bene il “da 0 a 100 in pochi secondi” potrebbe portare ad uno schianto fatale.

Meditare, meditare sempre su quali possono essere i punti di forza e le criticità; i vantaggi e gli svantaggi per l’organizzazione e per le persone; raccogliere i dati necessari; costruire un progetto razionale e, soprattutto, personalizzato. Del resto smart significa “intelligente” e chi è intelligente non si lascia scappare le possibilità di cambiare in meglio il proprio lavoro. Ripercorrere la strada vecchia senza considerare di sfruttare quella nuova, almeno in parte, sarebbe un errore imperdonabile che ci farebbe perdere il famoso treno.

Piero Vigutto

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