Il Sabotatore in Azienda: Quando l’Elemento Perturbante Indossa la Cravatta

Il Sabotatore in Azienda: Quando l’Elemento Perturbante Indossa la Cravatta

Se esiste una figura più affascinante e pericolosa del villain di una spy story, è senza dubbio il sabotatore aziendale, quel soggetto bene integrato che con lo sguardo sereno di chi non starebbe male nemmeno in una pubblicità di yogurt greco, semina il caos organizzativo con la stessa dedizione che altri dedicano al golf nei weekend. Non è sempre il tipo con gli occhi rossi che pianifica il coup d’état davanti a una mappa appesa al muro. Spesso è il collega che sorride alle riunioni e che tu vedresti tranquillamente invitare a cen… cosa che, probabilmente, rappresenta il primo errore strategico di molti manager.

L’Anatomia di un fenomeno organizzativo sottovalutato

Partiamo dalle basi: secondo la letteratura organizzativa contemporanea, il sabotaggio aziendale non è semplice negligenza. Come ha stabilito la Corte di Cassazione penale nel 1966, è “un danneggiamento qualificato, non soltanto per la natura dei beni su cui cade l’attività delittuosa, ma anche per lo scopo, che si propone l’agente, d’impedire o di turbare il normale svolgimento del lavoro.” In altre parole: è la differenza tra non fare il tuo lavoro e fare attivamente in modo che nessuno possa fare il suo.

Il fenomeno non è nuovo. Perfino il manuale dell’OSS (Office of Strategic Services) della Seconda Guerra Mondiale dedicava interi capitoli alle tecniche di “interferenza generale con le organizzazioni e la produzione”, fornendo istruzioni che oggi troveremmo ironicamente applicabili a qualsiasi corporate meeting mediocre: rimandare continuamente le questioni ai comitati, renderli il più grandi possibile, sollevare questioni irrilevanti, insistere sulla perfezione nei dettagli insignificanti, affidare compiti importanti a persone inefficienti. Non c’è bisogno di sabotatori veri, abbiamo i riunionisti.

Il pessimismo organizzato. Il fondamento filosofico del caos

Il pessimismo del sabotatore aziendale non è quello melanconico di un poeta il venerdì sera. È un pessimismo attivo, strategico, quasi virtuoso nella sua dedizione. Mentre gli ottimisti vedono opportunità, il nostro sabotatore vede solo il modo in cui tutto può andare storto e si dedica completamente a realizzare questa visione.

Questo pessimismo sistematico si manifesta in forme subdole ma riconoscibili. Prima fra tutte: la “cecità etica” identificata da ricercatori come Guido Palazzo negli studi su etica e conformità organizzativa. Quando l’azienda sperimenta stress prolungato, obiettivi irrealistici e pressione costante per i risultati, persino gli individui “corretti e bene intenzionati” cominciano a razionalizzare comportamenti disonesti. Il pessimismo interviene qui come il compagno ideale: se tutto è destinato a fallire, perché non accelerare il processo? Se il sistema è marcio, perché non ammaccarlo un po’?

L’elemento cruciale è che questo pessimismo raramente si presenta come una depressione clinica diagnosticabile. È piuttosto un atteggiamento, una postura mentale che trasuda dalla scrivania come fumo da sigaretta. Il sabotatore pessimista non dice “tutto andrà male”, piuttosto sussurra ai colleghi “abbiamo già visto questo fallire tre volte”, e quando qualcuno presenta un’idea innovativa, scrollata di spalle accompagnata dal ricordo di un precedente fiasco, anche se irrilevante, diventa il suo strumento più efficace.

Gli atteggiamenti. L’arte della passività aggressiva elevata a scienza

Se il pessimismo è la filosofia, gli atteggiamenti sono la tecnologia attraverso cui il sabotatore opera. Ecco i capolavori della malizia travestita da incompetenza.

L’ostacolo passivo-aggressivo. Non fare quello che ti viene richiesto, non per disobedienza palese (quella è troppo volgare) ma per “dimenticanze”, “malintesi di comunicazione”, “sovraccarico di lavoro”. Il tuo indirizzo non viene messo in copia nelle email importanti. I documenti si perdono nel passaggio tra uffici. È sabotaggio con le maniche arrotolate e un’aria di scusarsi costante: “Oh no, non te l’ho mai ricevuto questo messaggio!”.

Il rimandare infinito. Descritto sapientemente da esperti di dinamiche organizzative come il “sabotaggio del rimandare”, quando il sabotatore opera in posizioni decisionali. I problemi non si risolvono da soli, come ha osservato il Gruppo RES. Proprio come la ruggine, se la tolleri, finisce per invadere tutto. Ma il sabotatore sa che il rimandare ripetuto, trasformato in routine, diventa qualcos’altro, diventa capitolazione. Mentre il sistema si complica, lui rimane immobile, testimone impotente. Oppure, fingendo di esserlo.

Il controllo attraverso il perfezionismo selettivo. Qui arriviamo al genio puro. I progetti importanti? Rimandate per “ulteriori studi e considerazioni”. I dettagli minori? Esaminati con il microscopio della qualità totale. È il rovesciamento della razionalità economica ma completamente blindato da una giustificazione di “standard elevati”.

La diffamazione travestita da preoccupazione. Il sabotatore non attacca direttamente. Solleva dubbi, diffonde informazioni ambigue, crea incomprensioni intenzionali. Come indicato negli studi su mobbing e sabotaggio professionale, la manipolazione delle informazioni e il sabotaggio attraverso la diffamazione rimangono tra le forme più insidiose. La vittima, diciamo pure il collega minacciato dal progetto innovativo, si trova improvvisamente circondata da sussurri: “Non sono sicuro se abbia veramente le competenze…” oppure “Ho sentito dire che al progetto precedente…”, o anche “Personalmente non lo farei, ma che ne so…”.

Le patologie. Quando il disturbo diventa professionale

Arriviamo al delicato argomento delle patologie sottostanti. Qui entra in gioco la psichiatria organizzativa, anche se molti manager preferirebbero non saperlo.

Il disturbo narcisistico di personalità (Cluster B): Secondo il DSM-5, appartiene al Cluster B, che raccoglie disturbi caratterizzati da “comportamenti drammatici ed esasperati con scarsa regolazione emotiva”. La persona affetta da questo disturbo ha, per definizione, un “grandioso senso di sé, bisogno di eccessiva ammirazione e mancanza di empatia verso gli altri”. Qui sta l’ironia dolente, il narcisista in azienda non necessariamente fa sabotaggio consapevole. Sabota perché il sistema non riconosce adeguatamente il suo genio. Se una riunione va male, è colpa di chi non ha capito la sua strategia geniale. Se un progetto fallisce, è perché gli incompetenti intorno a lui non lo hanno supportato. Il sabotaggio è, per lui, una forma di corrective justice, stai ottenendo quello che meriti perché non riconosci il mio valore. Cosa più interessante, questa categoria di sabotatori “difficilmente richiede aiuto professionale” (di uno psicologo o psicoterapeuta). Il narcisista si rivolge a uno psicoterapeuta non per il disturbo, ma per altri motivi come problemi lavorativi, problemi sentimentali, derive depressive. In altre parole, tutti colpevoli tranne lui.

Il disturbo borderline di personalità. Il collega con regolazione emotiva caotica, relazioni instabili e una tendenza a passare repentinamente da idealizzazione a disprezzo. In una squadra, questo si traduce in sabotaggio emotivo: ieri eri il suo eroe, oggi sei il nemico giurato che non capisce la sua visione. La sua instabilità diventa turbativa per tutti. I progetti cambiano direzione con i suoi uteri, le alleanze si formano e si dissolvono, e nessuno sa mai dove stia veramente.

Il disturbo antisociale di personalità. Qui il sabotaggio diventa ancora più diretto. Caratterizzato da “disprezzo per gli altri, inganno e manipolazione degli altri per guadagno personale”, come definito nei manuali specialistici. Il sabotatore di questa categoria non camuffa nemmeno troppo, vede l’azienda come un’arena di competizione totale dove le regole sono per gli ingenui. Non prova rimorso. Se il tuo fallimento è il suo guadagno, tanto meglio.

Burnout e depressione mascherata. Meno ovvio ma altrettanto distruttivo è il sabotatore che non è “malato” nel senso clinico, ma profondamente demoralizzato. Lo descrivono come “cecità etica” gli esperti di organizational psychology, quando lo stress cronico consuma la capacità di un individuo di prendere decisioni etiche. Non è più lui a sabotare consapevolmente; è il sistema che lo ha reso incapace di fare altrimenti. Però il danno rimane

Le motivazioni. Una gerarchia del malcontento

Perché qualcuno sabota? La risposta, come in tutte le migliori tragedie, è complessa.

Il desiderio di potere frustrato. Il sabotatore spesso è qualcuno che non ha potere formale ma desidera fermamente di averne. Poiché non può ottenere potere, lo esercita negativamente bloccando, ostacolando, creando dipendenza dalla sua approvazione. È il classico “se non puoi vincere, assicurati che gli altri perdano”. Uno studio del fenomeno organizzativo noto come “bossing” (mobbing dal superiore) ha evidenziato come la paura di essere superati dai subordinati sia una motivazione classica. Il tuo successo rappresenta una minaccia al suo status.

La vendetta narcisistica. “Abuso sottile ma costante” secondo gli studi su mobbing. Se ti senti umiliato, ingiustamente trattato o non sufficientemente valorizzato, il sabotaggio diventa un meccanismo di autoaffermazione. Attraverso il tuo fallimento, proverai al mondo (e a te stesso) che avevi ragione tutto il tempo.

L’incompetenza difensiva. Qui arriviamo alla categoria più tragica e, in alcuni casi, davvero simpatica di sabotatori: quelli che sabotano perché sono terrificati dalla possibilità di essere scoperti come incompetenti. Quindi sabotano il sistema prima che il sistema possa smascherarli. Rimandano, ostacolano, creano confusione. Nel caos, le responsabilità si perdono. È autoconservazione attraverso il caos.

La depressione mascherata da cinismo. Quella voce che ripete “abbiamo già provato, non funziona mai”? Potrebbe essere saggezza, potrebbe anche essere depressione che ha trovato uno scudo nel ruolo aziendale. Lo stress prolungato, secondo ricerca documentata, trasforma persone “corrette e bene intenzionate” in sabotatori, perché quando “senti di lottare per la sopravvivenza, il comportamento diventa routine”.

Come riconoscere il sabotatore.

E’ la domanda cruciale.

Innanzitutto, osserva i pattern. Non i singoli episodi, quelli possono essere sfortunati ognuno ha una brutta giornata, ma le sequenze. I documenti si perdono sempre quando sono sensibili.

Le riunioni decisionali si rimandano continuamente. L’informazione arriva a te sempre “leggermente in ritardo” per prendere decisioni consapevoli. In secondo luogo, nota come gli altri si comportano intorno a questa persona. C’è una tensione sottile? Ci sono alleanze tattiche che cambiano a seconda di dove sta lo scherzo? Le persone sembrano… ansiose?

Terzo, osserva come reagisce alle critiche. Il sabotatore spesso si trasforma immediatamente in vittima, oppure contrattacca con aggressività. Come evidenziato negli studi su disturbi di personalità cluster B, “l’autostima apparentemente forte, ma nella realtà fragile, porta questi soggetti a reagire in modo esasperato alle critiche, a cui spesso rispondono con aggressività”.

Infine, il test definitivo: cosa succede quando il sabotatore è in ferie per una settimana? Improvvisamente le cose scorrono più fluidamente? Sospetto confermato.

L’Antidoto (almeno, alcuni palliativi)

La buona notizia è che il sabotaggio organizzativo non è una forza della natura. Può essere contenuto, anche se non sempre eliminato.

Trasparenza radicale. Una cultura aziendale che promuove comunicazione aperta, dove le persone possono esprimere preoccupazioni senza temere ritorsioni, è il “più potente antidoto alla cecità etica”. Quando tutto è esposto, il sabotatore ha meno spazio per operare.

Feedback regolare e costruttivo. Non le riunioni ogni trimestre, ma interazioni continue che rendono evidente il danno. Se rimandi sistematicamente, qualcuno dovrebbe dirlo, chiaro e ironicamente.

Ridefinizione degli incentivi. Il sabotaggio prospera quando il sistema premia il comportamento negativo o non lo punisce. Se bloccare il progetto dei tuoi rivali ti fa guadagnare politicamente, continuerai a farlo. Se invece il sistema ricompensa la collaborazione e penalizza l’ostruzionismo, anche il sabotatore razionale potrebbe riconsiderare.

Leadership consapevole. Leader che riconoscono e affrontano il sabotaggio invece di negarla. Non è elegante dirlo, ma spesso il sabotaggio prospera nel silenzio dei manager che preferiscono fingere che tutto vada bene piuttosto che affrontare il disagio.

Il Sabotatore non è un Bug, è una Feature

Il sabotatore aziendale esiste perché le organizzazioni umane sono, di fatto, umane. Siamo creature fatte di ambizione, paura, fragile autostima mascherata da arroganza. Il sistema aziendale amplia esattamente questi tratti, crea scarsità di potere, status e risorse, incoraggia la competizione, premia il risultato a breve termine. Non è sorprendente che in questo ambiente germoglino il sabotaggio e l’auto-danneggiamento.

Il vero scandalo non è che i sabotatori esistono. È che li tolleriamo, li ignoriamo, a volte li premiamo con promozioni, sperando che il problema sparisca da solo. Spoiler alert: non sparisce.

Se il tuo sabotatore indossa una cravatta, parla di “sinergia” e ha una presentazione PowerPoint ben fatta, forse è il momento di guardare più da vicino. Potresti scoprire che il nostro nemico interno è molto più prossimo di quanto immaginavamo e molto più ordinario di quanto una spy story vorrebbe farci credere.

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