Nella seconda metà degli anni novanta, Guido (nome di fantasia), un operaio di un’azienda del distretto della sedia di Manzano in provincia di Udine, venne licenziato. Aveva iniziato vent’anni prima, a quattordici anni, subito dopo aver terminato la scuola media. Avendo un’età inferiore a quella che la legge prevedeva per un inquadramento regolare, per qualche anno aveva ricoperto mansioni generiche ed era stato pagato in nero. Una volta raggiunti i sedici anni, venne assunto come operaio generico. Il suo lavoro gli piaceva e si distinse per essere infaticabile diventando, dopo alcuni anni, operaio specializzato. L’accordo con il datore di lavoro prevedeva una paga base e il resto “fuori busta”. Dopo essere stato messo in mobilità per accordo sindacale, Guido riceveva una misera indennità, calcolata sulla busta paga percepita regolarmente. Così, insoddisfatto per la sua condizione, decise di mettersi in proprio come artigiano e di aprire Partita IVA. Chiese un prestito in banca, i permessi per iniziare, acquistò le macchine dal suo vecchio datore di lavoro e affittò uno dei tanti capannoni dismessi. Non gli restava che mettersi al lavoro.
Era ormai la fine degli anni novanta, iniziare un’attività dal nulla alle soglie del nuovo millennio non fu facile, ma non lo era stato neppure qualche decina di anni prima per i padri dei suoi compagni di scuola che scarrozzavano i figli in Mercedes con un vano motore più lungo della tavola della cucina di casa sua. Anche lui, un giorno, avrebbe avuto una macchina così. Lo avevano fatto tutti in passato e lui non valeva certo da meno. Come diceva «Se le macchine si fermeranno, piallerò le assi con le unghie».
Cambiare è necessario ed inevitabile
Guido iniziò a lavorare giorno e notte dentro il suo capannone, senza mai mettere la testa fuori. Fu per questo che non si rese conto che la crisi del distretto della sedia era ormai sistemica e si era allargata a tutto il settore del legno. Mentre lui perdeva il sonno nel suo capannone l mercato si era evoluto, avvolto dalle nuvole di segatura prodotte da macchine che erano già obsolete quando le aveva comprate non aveva capito cosa stava succedendo ben prima che iniziasse.
Dopo qualche tempo l’azienda fallì e Guido perse tutto.
In cosa ha sbagliato Guido? Probabilmente potremmo riassumere la sua storia sotto la facile dicitura di “ingenuo ottimista” ma sarebbe troppo facile. Nell’esempio riportato Guido non è riuscito gestire un evento economico macroscopico, una crisi di settore che era già iniziata in sordina al momento del suo licenziamento e che si era conclamata negli anni a seguire. Aveva fatto una previsione di andamento economico basandosi esclusivamente sulle esperienze passate: tanti prima di lui si erano messi in proprio; tutti quelli che conosceva avevano avuto successo; a lui che conosceva il mestiere doveva per forza succedere la stessa cosa. Il nostro protagonista ha agito sulla base di quello che in psicologia viene chiamato bias di conferma, ovvero la tendenza che ognuno di noi ha di cercare dati che confermino le nostre idee e di ignorare quelli che le contraddicono. È stato vittima di quello che spesso ho sentito dire nelle imprese “Abbiamo sempre fatto così…”.
Quali sono i bias di conferma di oggi?
Arriviamo quindi alla domanda: quali sono i bias di conferma di oggi nelle aziende? Purtroppo sono molti e rischiano di generare costi occulti che, se non distruggono un’azienda, di certo erodono fortemente il guadagno. Vediamone alcuni:
- l’azienda va bene. Non serve fare formazione: grossissimo errore. La mancanza di formazione in un determinato periodo comporterà la genesi di un ritardo in termini di adeguamento alle necessità di mercato. Secondo la teoria dell’onda, il cui copyright appartiene a Gianluca Tesolin AD di Bofrost, gli interventi non li devi mai fare quando sei sulla cresta dell’onda ma sempre all’inizio dell’onda. Quando ti trovi sulla cresta dell’onda l’intervento è sempre tardivo ed ha un’efficacia minore (se ce l’ha).
- non trovo persone, tutta colpa di…: quando la colpa è sempre esterna siete dentro ad un bias di conferma fino al collo. L’esterno è il mercato e al mercato non si comanda (a meno che non siate monopolisti). Se il mercato va in una certa direzione, dovete trovare strategie diverse perché, come disse qualcuno, non puoi risolvere un problema nuovo con strategie vecchie.
- le persone se ne vanno per i soldi: può darsi di sì, più probabilmente non se ne vanno per quello. In ogni caso le soluzioni sono due, o paghi di più oppure offri qualcos’altro. Se paghi di più ricorda che c’è sempre chi potrà rilanciare, se offri qualcosa di diverso allora diventi unico. Se diventi unico saranno loro a cercati e a rimanere. Per capire come agire, rispondi alle domande: Cosa mi rende unico? Cosa potrebbe rendermi unico? Non è facile trovare la risposta, se poi la risposta è arrivata da te stesso sei dentro ad un bias di conferma.
- il mio sistema di selezione ha sempre dato buoni frutti, non mi serve cambiare: so di persone che vanno ancora dal parroco a chiedere se ha qualche bravo cristiano da presentargli. Non è la strategia corretta, ovviamente, soprattutto se non trovano le persone. Mancano i fondamentali o sono inconsistenti, soprattutto se quei pochi e inconsistenti fondamentali li usava “il vecchio manager che…” oppure “il padrone che ha costruito tutto questo” oppure anche “ci pensa lei/lui che fa un altro lavoro ma tanto per fare un colloquio sono capaci tutti”.
La soluzione al bias di conferma
Come evitare il bias di conferma? Il primo passo è dotarsi di un sistema di valutazione che serve proprio ad evitare pessime valutazioni. Spessissimo alla domanda “avete un sistema di valutazione per la gestione delle persone?” mi sento rispondere che “non serve perché sappiamo chi performa e chi no”. Peccato che questa valutazione si basa su una supposizione di conoscenza che non è basata su alcuna forma di valutazione parametrica, sistematica e sistemica. Un’approssimatissima percezione basata sul bias di conferma. Lo spiego meglio.
La persona su cui abbiamo dei dubbi sbaglia qualcosa? Il bias conferma quello che penso di quella persona.
Riesci a rispondere a queste domande:
- Ma chi non ha mai sbagliato?
- E se ha sbagliato con quale frequenza lo fa?
- Rispetto agli altri sbaglia di più o di meno?
- Per quale motivo sbaglia?
- La mansione è adeguata al potenziale o questo inficia i risultati della prestazione?
Domande importantissime che non ci si pone mai. Sarebbe perfetto un socratico “so di non sapere” ma il bias di conferma interviene a gamba tesa facendoci sbagliare la valutazione delle persone, della loro performance, della posizione, dei premi… la conseguenza è la fuga delle persone, la scarsa attrattività del marchio, l’insoddisfazione e il pessimo clima (che non aiutano).
Esiste la possibilità di trovare soluzioni e strategie basate sui numeri che un’analisi interna restituisce. Gli step necessari sono:
- Analisi interna
- Indicazione degli obiettivi da raggiungere
- Individuazione degli strumenti da utilizzare
- Analisi periodica dei risultati
- Comunicazione strutturata
- Intervento di rimodellamento
- Ripetere dal punto 1
Gli strumenti possono essere:
- Test
- Role playng
- Formazione individuale e di gruppo
- Coaching individuale
- Altro
Unire tutto con apertura mentale e desiderio effettivo di conoscere. Se non utilizziamo questa strategia il bias della conferma ci mostrerà che abbiamo ragione e ci farà affondare sempre di più.
Guido non è stato un cattivo imprenditore, si è solo comportato da essere umano e non ha valutato. Tutti, quotidianamente, tendiamo a fare scelte errate sulla base di bias di conferma, tutte si pagano, solo che alcune si pagano più di altre. Se non vuoi essere il prossimo Guido, è meglio prendere in considerazione strategie diverse.
Piero Vigutto
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