Di clima interno sento parlare da quando facevo l’Università quindi, ahimè, da parecchio tempo. Un concetto affascinante, tanto che gli dedicai una parte della mia tesi di laurea. Il concetto di clima interno sembrava essere il fulcro su cui tutte le leve motivazionali avrebbero alzato il risultato e la performance di tutti. Sfortunatamente, come accade spesso anche oggi, non avevamo considerato una questiona fondamentale: il calma interno è un bel presupposto ma non può essere il fine dell’azienda.
Invaghirsi...
Dopo la tesi di laurea andai a lavorare in un’agenzia di consulenza per la gestione delle risorse umane. Non era un’agenzia qualunque ma un incontro di grandi pensatori e psicologi del lavoro. Majer, Spaltro, Rumiati e molti altri si avvicendava all’interno di quelle mura lasciando molto del loro sapere e consegnando a noi giovano una parte della loro esperienza. Lì nacque il test M_DOQ10 – Majer_D’Amato Organizational 10 che misurava un aspetto fino ad allora considerato aleatorio e sfuggente dell’azienda: il clima interno all’azienda. Ovviamente questo fece salire di molto il mio interesse per l’argomento che, però, subito dopo si scontrò con la pragmatica logica e la concretezza dell’azienda.
Quando entrai come HR Manage in un’azienda metalmeccanica di clima interno nessuno aveva sentito mai parlare né a qualcuno interessava che io ne parlassi. Frustrante, sapevo che la misurazione del clima interno avrebbe aiutato l’imprenditore a prendere decisioni importanti ma, come mi disse “non sono sicuro di voler sapere cosa accade a casa mia”. Alla frustrazione si aggiunse l’incredulità aumentata dalla descrizione della mia mansione “Loro (gli operai) producono, tu fai solo carte e polvere”. Bene, così era tutto chiaro: l’analisi del clima interno non era di certo la priorità. La priorità era la produzione. In realtà mi sbagliavo perché la produzione era solo un aspetto di ciò che importava davvero.
Proposi l’analisi del clima interno a diverse imprese, la risposta fu più o meno la stessa. Parlo di un periodo antecedente alla crisi del mutui subprime che ha spazzato via moltissime aziende old stile ma che a me, giovane HR, stava evidenziando quale fosse il vero baricentro dell’impresa: non la produzione ma qualcosa di più complesso e incomprensibile per uno psicologo, il bilancio. La cosa mi stuzzicò a tal punto che iniziai a leggere libri di economia for dummies e poi manuali più complessi. Come presto imparai, a far vivere l’azienda era il suo carburante ovvero l’utile generato dall’attività economica. Ora era ben chiaro che il clima interno è il presupposto ma il fine sono il risultato economico, il margine operativo lordo e l’aumento del capitale netto assieme a tutte le altre “misure” economiche di cui il bilancio è il riassunto.
𝘙𝘪𝘧𝘭𝘦𝘴𝘴𝘪𝘰𝘯𝘪 𝘥𝘪 𝘶𝘯𝘰 𝘱𝘴𝘪𝘤𝘰𝘭𝘰𝘨𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘩𝘢 𝘧𝘢𝘵𝘵𝘰 𝘱𝘢𝘤𝘦 𝘤𝘰𝘯 𝘨𝘭𝘪 𝘢𝘴𝘱𝘦𝘵𝘵𝘪 𝘦𝘤𝘰𝘯𝘰𝘮𝘪𝘤𝘪 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘨𝘦𝘴𝘵𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘥𝘦𝘭 𝘱𝘦𝘳𝘴𝘰𝘯𝘢𝘭𝘦
Consapevolissimo di non essere stato preciso nella descrizione dei misuratori economici (resto psicologo) credo invece di essere stato abbastanza chiaro sulla posizione del clima interno. Nessuno lo relega alla posizione di figlio cadetto dell’azienda, nessuno vuole negarne l’utilità ma gli stipendi non si pagano in felicità, si pagano in euro che sono il frutto della capacità produttiva dell’impresa.
Questa è difficilissimo da capire per uno psicologo che parla di formazione in termini di investimento quando in bilancio è un costo. La verità è che chi si approccia a questo lavoro deve inevitabilmente farsi una cultura economica e giuslavoristica che all’università non ti danno. Ma serve, anzi, è indispensabile se vuoi fare l’HR.
Il clima interno è il presupposto per produrre bene ma non è il fine dell’azienda. La produttività, però, è influenzata dal clima interno che, se positivo, facilita lo scambio di idee, le contaminazioni, lo sviluppo e la crescita. Vele la pena quindi specificare cosa sia un buon clima interno: stare bene non significa non litigare. Non litigare è un’illusione, anche le coppie che si amano litigano, forse meglio dire che discutono. La discussione, anche animata ma sempre rispettosa, è sinonimo di conflitto senza il quale non c’è proposta e quindi non c’è sviluppo. Il conflitto non va eliminato, è utopia, il conflitto va gestito affinché rimanga un’attività costruttiva che porta a nuove riflessioni e idee. Quindi, avere un buon clima interno, significa dare spazio a chi parla e porta idee anche se spesso vorresti che stesse zitto. Il clima è il presupposto su cui chi gestisce persone deve basare le azioni che portano all’utile economico.
Insomma, il valore sono le persone ma è l’asset che ti dà da mangiare.
Piero Vigutto
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