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A volte la tifoseria insegna

Proprio io che il calcio non lo sopporto, mi trovo a scrivere un titolo come questo “A volte la tifoseria insegna”. Qualche tempo fa, non ricordo quando, mi sorpresi a commentare tra me e me l’atteggiamento di un tifoso che piangeva perché il suo beniamino aveva lasciato la squadra per cui tifava. Sinceramente non ricordo la squadra in questione e neppure il calciatore, il calcio non mi è mai piaciuto e mi perdonerà il lettore tifoso se dico che neppure moto e macchine mi hanno mai interessato ma le lacrime di quel tifoso che da principio avevo giudicato malissimo ora le rivaluto perché le leggo in una chiave diversa.

Piangere in ginocchio disperati perché il talentuoso calciatore se n’è andato a giocare in un’altra città, in un’altra squadra… cose da pazzi. Quel tifoso era davvero fuori di testa. Il calciatore? Se n’era andato per soldi e mi sembrava di sentire le parole che s’era scambiato con il presidente “Ah, non mi dai quello che chiedo? Ma lo sai che se vinci è perché in campo ci sono io? Se non lo capisci allora me ne vado” (dialoghi inventati frutto della mia fantasia).

Poi mi misi a riflettere sui tre protagonisti: il tifoso, il presidente e il calciatore.

Il calciatore. Male anzi malissimo, se se ne va per i soldi e basta, dicevano i tabloid, ma sinceramente non credo o voglio sperare per lui che non sia stato solo per quelli. Le opzioni sono due: o c’era un piano di sviluppo e crescita personale insufficiente o ha puntato tutto sui soldi.

Opzione A: i piani di sviluppo hanno un inizio e una fine, soprattutto se sei un talento naturale. Arriverà il momento in cui l’azienda, per grande che sia, inizierà a starti stretta. Non è colpa di nessuno, è così. Il talento è come il ghiaccio, cresce di volume e se non trova sfoghi adeguati si sente stretto dentro. Il gioco non è tenerli ma dare loro la possibilità di sviluppare il proprio talento finché c’è la possibilità.

Opzione B: il denaro è la ciliegina mai la torta, se viene considerato la torta allora meglio perderli che trovarli perché sono come i mercenari, se ne vanno da chi paga di più non da chi li valorizza di più. Se il denaro è il fine non la conseguenza le carriere descrivono solitamente veloci parabole discendenti, soprattutto se si tratta di uno sport di squadra. Vale per tutti, anche per i lavori lontani dai riflettori.

Il presidente. Le opzioni sono due: o c’era un piano di sviluppo e crescita personale insufficiente o ha puntato tutto sui soldi.

Opzione A: se hai piani di sviluppo per un talento questi diventeranno obsoleti velocemente e dovranno essere cambiati in corso d’opera, adeguati allo sviluppo delle persone che per competenze e capacità avranno una velocità di espansione più veloce di quella delle strutture aziendali. La questione non è se ma quando se ne andranno, perché se ne andranno. La questione vera è: cosa fare per ottenere il meglio durante il periodo di permanenza in azienda.

Opzione B: Mai pensato che i soldi li hanno tutti quanti? Quello che serviva probabilmente era un piano di sviluppo personale convincente e niente, se l’è fatto scappare con la convinzione che “con quello che risparmio su questo è probabile che ne prendo due… tre se mi va liscia” e invece no, nulla, ma proprio niente. Se hai un talento tra le mani e te lo fai scappare per un pugno di dollari (cit.) allora sei proprio messo male. Il denaro non è tutto anzi spesso non vale quello che si pensa. Se le risorse rimangono (o se ne vanno) per i soldi significa che non hai di meglio da offrire. Male, anzi malissimo.

Il tifoso. Confesso, inizialmente ho pensato che uno così avesse seriamente bisogno di un TSO. Piangere perché il divo di turno se n’era andato? Cose da pazzi! Quello di cui non mi sono reso subito conto che quelle lacrime avevano un significato profondo. Di fatto egli è un consumatore che acquista un bene o un servizio dall’azienda (squadra), se questa è diretta da un presidente che basa la gestione del giocatore sulla busta paga va da sé che, come abbiamo detto, il talento se ne andrà. Il risultato è un peggioramento del prodotto/servizio e quindi una possibile disaffezione alla squadra. Ogni azienda si merita una tifoseria appassionata.

Morale:

Piero Vigutto

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