*Nota: non percepisco denaro per la segnalazione di questi testi e la recensione pubblicata è frutto della mia personale opinione.

Günter Faltin – imprenditore, docente di Imprenditoria alla Freie Universität di Berlino e fondatore della Teekampagne – ci propone con “L’ingegno batte il capitale” una prospettiva imprenditoriale che sfida gli stereotipi diffusi: non serve un patrimonio ingente o un’idea rivoluzionaria per avviare un business. Al centro del successo c’è la creatività organizzativa, capace di sostituire il capitale finanziario con l’ingegno e un modello costruito con risorse esistenti.
Il testo, di circa 389 pagine, è strutturato in modo da accompagnare il lettore in un percorso che parte dall’analisi di modelli già realizzati (come la Teekampagne, storica startup del tè), proseguendo con linee guida operative per comporre un progetto imprenditoriale efficace anche senza ingenti investimenti. Una delle intuizioni più originali è la distinzione tra progetto e impresa: il primo è l’idea creativa, il secondo è la sua realizzazione concreta attraverso una rete organizzativa. Faltin invita a pianificare un progetto e “metterlo in scena” prima di pensare a una struttura complessa e a capitali elevati.
La forza argomentativa di Faltin risiede nella trasparenza e nella frequente ricchezza di esempi. I lettori lodano “l’utilità concreta” delle nozioni, apprezzano la semplicità e la scorrevolezza della scrittura e definiscono il volume “fuori dagli schemi”, efficace nel suggerire approcci innovativi alla pratica imprenditoriale. L’autore utilizza aneddoti e storie di successo reperite nella sua esperienza accademica e professionale per dimostrare che idee ben orchestrate – anche con risorse ordinarie – possono produrre risultati straordinari.
Un punto speciale del libro riguarda la “composizione”: Faltin spiega che l’imprenditore deve assemblare competenze e funzioni chiave esternalizzate, trasformando l’impresa in una rete di collaborazioni e asset non proprietari. Solo così la personalizzazione e la qualità possono compensare la mancanza di capitali. Questo approccio si distanzia da startup all’insegna del grande capitale e ricorda un “illuminismo imprenditoriale” dove l’ingegno umano è protagonista.
La riflessione si estende alla cultura: Faltin spiega come la stagnazione dell’innovazione sia legata al mito del capitale, spremuto più volte dai finanziatori e dagli ecosistemi di venture capitalist con risvolti rischiosi e insostenibili. Un modello imprenditoriale fondato sull’ideazione, sui processi e su un’architettura collaborativa ha più probabilità di durare e generare valore locale e sostenibile .
Pur essendo apprezzato per i suoi contenuti e la chiarezza, qualche critica coinvolge la ripetitività dei concetti: l’autore insiste spesso sui medesimi principi – composizione, rete, meno capitale, più ingegno – con un ritmo che può risultare ridondante per lettori già esperti . Tuttavia, altri lettori interpretano questa scelta come una strategia pedagogica: Faltin ribadisce i suoi messaggi per fissarli nella mente del lettore e guidarlo all’azione .
Altro punto di debolezza: alcuni esempi si riferiscono principalmente al contesto tedesco, potendo limitare l’adattabilità del modello in paesi come l’Italia, dove il contesto burocratico e culturale è diverso. Tuttavia, la filosofia di fondo resta universale: indipendentemente dall’area geografica, un progetto ingegnoso e ben strutturato può emergere grazie all’organizzazione intelligente delle risorse.

Nel saggio “Risorse umane e disumane”, Andrea Castiello d’Antonio e Luciana d’Ambrosio Marri propongono un viaggio-avventura tra le pieghe della cultura del lavoro, definito simbolicamente «Pianeta R.U.». Il titolo, giocando sulle parole “umane” e “disumane”, mette subito in evidenza la contrapposizione tra potenzialità positive e pericoli nascosti che si possono incontrare ogni giorno in azienda. Il tono è coinvolgente e dialogico, caratterizzato da una scrittura fluida che rende il libro accessibile anche a chi si affaccia per la prima volta a riflessioni sulla cultura del lavoro e i comportamenti interpersonali.
Il volume affronta una pluralità di temi, tra cui le convenzioni non scritte, il balance tra diritti e doveri, la gestione delle nuove generazioni, lo stress da performance e il pervasivo fenomeno del workaholism. Il Pianeta R.U. è descritto come un ambiente complesso, popolato non solo da persone e ruoli, ma anche da dinamiche psicologiche, tensioni intergenerazionali e tossicità latenti. Una tappa fondamentale della narrazione è dedicata alla distinzione tra “risorse umane”, coloro che portano valore e cooperano per uno scopo, e “risorse disumane”, figure inquietanti e perverse che minano il clima relazionale e il benessere organizzativo.
Molto efficace risulta il ricorso a interviste e testimonianze di direttori HR, che restituiscono un ritratto concreto di come queste dinamiche prendano forma nelle scelte di selezione, formazione e modelli di leadership. L’approccio degli autori è altamente contestualizzato e concreto: si concentra su esempi pratici, casi vissuti e storie aziendali reali che aiutano a dare vita alle riflessioni, trasformando concetti astratti in spunti subito spendibili. L’idea di “felicità organizzativa” non resta un esercizio teorico, ma diventa proposta operativa: come muoversi consapevolmente in un sistema complesso, difendersi da violenze psicologiche, coltivare resilienza individuale e collettiva.
Un aspetto importante emerge quando gli autori si soffermano sulla “memoria storica” delle organizzazioni, indicando l’importanza di utilizzare film, racconti e modelli del passato come strumenti di consapevolezza culturale. In questo passaggio, il testo si fa più riflessivo: non solo strumenti, ma anche riferimenti simbolici utili a capire il presente e progettare il futuro. Il confronto tra generazioni – dalla Beat Generation alla Bit Generation – viene trattato con attenzione, senza cadere in facili stereotipi, ma riconoscendo le differenze come terreno su cui costruire opportunità di dialogo e innovazione.
Parallelamente, il saggio affronta i rapidi mutamenti dell’era digitale e la necessità di nuove competenze: adattabilità, capacità di apprendere e generare processi di innovazione sono presentati come risposte al ritmo accelerato del mondo contemporaneo. Non si tratta di una mera teoria, ma di una sfida che chiede ai professionisti di diventare protagonisti: trasformare inquietudine in energia, disorientamento in curiosità, per continuare a operare in modo produttivo e a costruire senso.
Non mancano momenti di tensione in cui il testo mette allo specchio l’assenza di civiltà organizzativa, la fragilità dei ruoli e la fatica di gestire lo stress da risultati. Il libro offre percorsi di autodifesa e strategie per non diventare vittime delle dinamiche aziendali: tutelare il proprio stile di vita, riconoscere i segnali di deterioramento psicologico, valutare quando cambiare contesti per tutelare la propria dignità personale e professionale. Il lancio di suggerimenti pratici – come riflettere sul proprio posizionamento, lavorare sulle relazioni, chiedere feedback e supporto – offre strumenti utili per interpretare e modificare il sistema.
Il pregio del saggio sta nella sua onestà intellettuale: non promette soluzioni facili, ma stimola riflessione critica, consente di acquisire consapevolezza e fornisce percorsi per supportare la costruzione di ecosistemi di cultura del lavoro più umani. Se talvolta la densità delle tematiche risulta impegnativa, è proprio questa ricchezza a renderlo un testo di riferimento, che non si esaurisce in una lettura, ma continua a generare riflessioni anche dopo aver chiuso il volume.
In conclusione, “Risorse umane e disumane” rappresenta un contributo solido e stimolante alla riflessione sulla cultura del lavoro contemporaneo, perché aiuta a vedere l’azienda non solo come luogo di competenze e processi, ma come spazio di relazioni complesse, valori e contraddizioni. È un testo indicato agli HR, ai manager, ai coach e ai professionisti che desiderano vivere la cultura del lavoro non solo come performance, ma come esperienza qualificante e umanamente sostenibile.

“La mente simulata”, pubblicato nel 2017 da Giunti Editore, si propone come una guida agile e divulgativa ai principali sviluppi dell’intelligenza artificiale (IA) e della robotica applicata alla vita quotidiana. L’autore Angelo Cangelosi, professore di Artificial Intelligence and Cognition all’Università di Plymouth, insieme a Santo Di Nuovo, psicologo esperto di neuroscienze e AI, firma un saggio breve (circa 111–124 pagine) ma denso di contenuti.
Il nucleo del testo è chiaro: l’intelligenza artificiale, intesa come simulazione della mente umana, non è solo una frontiera teorica, ma è già protagonista nell’educazione, nella riabilitazione, nella cura dell’autismo e dell’assistenza agli anziani o disabili. Questo accade grazie a robot umanoidi progettati sia per svolgere compiti specifici sia per supportare processi di apprendimento o sollievo emotivo.
Il libro si apre presentando il concetto formale di simulazione: la capacità di costruire modelli di sistemi reali, affinché essi siano utili per lo studio o l’intervento controllato. L’ambito spazia dai simulatori per pratiche professionali (es. chirurgia) fino a giochi educativi e interazioni sociali complesse. L’applicazione di modelli di intelligenza artificiale trova spazi infiniti.
Prosegue poi con esempi applicativi: nella formazione professionale, i robot sono strumenti efficaci per sperimentare in sicurezza; in ambito educativo, i “giochi” cognitivi basati su IA favoriscono apprendimenti inclusivi; in campo riabilitativo, i robot aiutano nello sviluppo di abilità sociali e motorie, in particolare nei bambini autistici o nelle persone con deficit evolutivi .
L’ultima parte del volume affronta tematiche etiche e di controllo sociale: chi decide lo scopo e i limiti della simulazione cognitiva? Quale futuro desideriamo costruire se lasciamo all’IA compiti sempre più pertinenti all’umano?
Punti di forza
- Chiarezza espositiva: testi sintetici e accessibili, senza tecnicismi eccessivi, adatti anche ai non esperti.
- Approccio multidisciplinare: fonda la tecnologia sull’integrazione tra informatica, psicologia e neuroscienze .
- Impatto concreto: esempi reali e casi applicativi offrono uno sguardo immediato su come la IA possa migliorare la vita quotidiana (educazione, anziani, riabilitazione).
- Riflessioni etiche: si provvede a una discussione sul controllo e l’uso consapevole della simulazione cognitiva nella società odierna tramite l’intelligenza artificiale.
Criticità
- Sintesi eccessiva: la brevità del testo comporta un’affermazione generale e pochi approfondimenti tecnici avanzati.
- Limitata discussione storica: il libro si concentra sulle applicazioni attuali senza esplorare le radici evolutive dell’IA.
- Assenza di casi italiani: la maggior parte degli esempi proviene dal mondo anglosassone, tranne qualche cenno generale al contesto italiano.
Conclusioni
“La mente simulata” rappresenta un’introduzione agile ed efficace al mondo dell’intelligenza artificiale e della robotica applicata alla vita quotidiana. Non si tratta di un manuale specialistico, ma di un saggio essenziale e informato, utile a studenti, professionisti, formatori e chiunque desideri comprendere cosa significhi oggi “simulare la mente”. Con esempi concreti e una scrittura chiara, il libro stimola riflessioni sul futuro della convivenza uomo-macchina e pone le basi per un dibattito consapevole su scelte tecnologiche, sociali ed etiche.