*Nota: non percepisco denaro per la segnalazione di questi testi e la recensione pubblicata è frutto della mia personale opinione.

Emilio Gentile – uno dei massimi storici italiani, noto per le sue analisi sul fascismo e la religione della politica – decide di indagare un aspetto tanto antico quanto attuale: il rapporto tra capo e folla, inteso non solo come fenomeno storico, ma come elemento strutturale della democrazia stessa. La sua riflessione prende forma in un tomo di circa 216 pagine, edizione pubblicata nel 2016 da Laterza nella collana “i Robinson / Letture”.
L’opera si articola come una sorta di viaggio storico-politico, che parte dall’Antica Grecia, con Pericle e le sue “acclamazioni democratiche”, per giungere fino agli esempi più emblematici del XX secolo: Roosevelt, de Gaulle, Kennedy, ma non tralascia figure forti come Napoleone I e III, e autocrati totalitari di vario tipo . Lo sguardo di Gentile si arricchisce di una pluralità di piani interpretativi: filosofico, antropologico, comunicativo. Non a caso introduce il concetto di “democrazia recitativa”, un modello in cui la forma democratica resta intatta, ma ciò che muta è la centralità della figura del capo nel produrre consenso attraverso rituali, simboli e tecniche comunicative.
Un tema cruciale del libro è proprio questo: la differenza tra democrazia rappresentativa e democrazia recitativa. Nel primo modello, ciò che conta è l’elezione, la dialettica tra forze politiche, le istituzioni; nel secondo, invece, la spettacolarizzazione del potere fa sì che il capo – e non più l’ideologia o il partito – diventi l’attore principale del consenso, spesso in modo ritualizzato, mediatico e imprevedibile.
Gentile non usa un linguaggio eccessivamente accademico: pur mantenendo rigore storico e accuratezza nella documentazione, la narrazione scorre fluida, a tratti quasi divulgativa. Questo libro è una rassegna ampia, ma non enciclopedica: preferisce il taglio sintetico, concentrandosi su episodi paradigmatici. Alcuni critici hanno evidenziato proprio questo, dicendo che, sebbene il percorso storico sia degno di nota, appare schematico o privo di approfondimenti su certi passaggi (per esempio, troppo sintetici fascismo e nazismo) . Tuttavia, non manca la capacità di stimolare riflessioni su temi urgenti, come l’attuale rischio di una democrazia recitativa accentuata dalle tecnologie digitali e dai media .
I punti di forza sono molteplici:
- Ricchezza storica e cross-temporale: il testo percorre due millenni di democrazia e potere, passando dal mondo greco a quello moderno e contemporaneo .
- Centralità del capo come costrutto comunicativo: l’autore descrive con efficacia i rituali di legittimazione, dai plebisciti di Napoleone alle aparizioni televisive dei leader del Novecento.
- Riferimenti teorici e sorgenti culturali: citazioni da Le Bon, Weber, Marx, Tocqueville permettono di inserire l’analisi in un quadro concettuale solido.
- Attualità e riflessione critica: Gentile esorta a rafforzare la coscienza critica per non cadere nella trappola di un consenso facile e di massa.
Tuttavia, qualche limite va comunque riconosciuto:
- Sintesi eccessiva: per ragioni editoriali, l’autore obbliga a preferire un taglio sintetico a scapito di approfondimenti su certi fenomeni,
- Focus occidentale: il libro resta confinato al contesto europeo e statunitense, senza offrire vedute su democrazie emergenti o post-coloniali .
- Stile divulgativo: qualcuno potrebbe lamentare una parvenza di “leggerezza”, ma che in realtà risponde all’obiettivo di comunicarlo a un pubblico ampio.
In definitiva, “Il capo e la folla” non è un manuale accademico, né un trattato ultra-specialistico: è un saggio agile ma profondo che solleva questioni politiche e morali cruciali per il nostro tempo. È un’occasione di riflessione storica e critica su come il consenso venga costruito: se da un lato spiega meccanismi antichi come i plebisciti o le acclamazioni, dall’altro riflette su come i media attuali amplifichino dinamiche che sembravano superate, ma che invece sono oggi più vive che mai sotto nuove forme .

di Sergio Casella. Questo libro rappresenta un contributo significativo alla riflessione sulla leadership etica in azienda. Pubblicato da Tecniche Nuove nel 2014, il libro offre una prospettiva concreta su come l’etica possa diventare un elemento centrale nella gestione dell’etica in azienda, migliorando non solo l’ambiente lavorativo ma anche i risultati economici.
Sergio Casella, con una solida esperienza manageriale, propone un modello di leadership che mette al centro la realizzazione della persona sul luogo di lavoro. Attraverso l’applicazione di principi morali all’organizzazione aziendale, l’autore dimostra come sia possibile creare ambienti in cui i dipendenti si sentono valorizzati e motivati a contribuire attivamente al successo dell’etica in azienda. Questo approccio si basa sulla convinzione che il benessere dei collaboratori sia strettamente legato alla performance complessiva dell’organizzazione.
Il libro si distingue per l’analisi approfondita dei principi etici applicati al contesto aziendale. Casella evidenzia come molti concetti presenti in trattati filosofici, etici o religiosi possano essere reinterpretati per guidare la leadership e la gestione delle risorse umane. Questa rilettura consente di sviluppare un modello di leadership che promuove la fiducia, la responsabilità e la crescita personale all’interno dell’azienda.
Un aspetto particolarmente interessante dell’opera è l’attenzione dedicata alla creazione di un ambiente di lavoro in cui le persone sono felici di contribuire a un progetto condiviso. Casella descrive come l’applicazione di un paradigma etico possa portare a risultati inaspettati, migliorando la coesione del team e favorendo l’innovazione. L’autore sottolinea che la leadership etica non è solo una questione di valori, ma anche di pratiche concrete che influenzano positivamente la cultura dell’etica in azienda.
Il testo offre numerosi esempi pratici e testimonianze che illustrano l’efficacia del modello proposto. Casella condivide esperienze vissute in prima persona, mostrando come l’adozione di una leadership basata sull’etica abbia contribuito al successo di diverse realtà aziendali. Questi racconti rendono il libro accessibile e coinvolgente, fornendo spunti utili per l’applicazione dei concetti trattati.
In conclusione, La morale aziendale di Sergio Casella è un’opera che invita a ripensare il ruolo della leadership e dell’etica in azienda. Attraverso un approccio pratico e ispirato, il libro dimostra che è possibile coniugare il successo economico con il benessere delle persone, promuovendo una cultura organizzativa più umana e sostenibile. Una lettura consigliata a manager, imprenditori e professionisti delle risorse umane che desiderano sviluppare una leadership autentica e responsabile.

“Incertezza” è la parola che percorre ogni pagina de “Il cigno nero”. Nassim Nicholas Taleb, matematico, filosofo ed ex trader, prende le distanze dalle rassicuranti previsioni lineari e dai modelli statistici tradizionali, mostrandoci invece come il nostro mondo sia plasmato da eventi rari, dirompenti e del tutto imprevedibili: i “cigni neri”.
Taleb definisce il cigno nero come un evento che soddisfa tre condizioni: rarità, impatto enorme, e indiscutibilità retrospettiva – ossia siamo abili a spiegare a posteriori ciò che prima non potevamo prevedere. L’autore utilizza diversi esempi storici (la caduta improvvisa dei mercati, l’11 settembre, l’ascesa di Internet) e metafore evocative – come il tacchino che gode ogni giorno della sua routine solo per essere falciato all’improvviso – per mettere in guardia chiunque si affidi troppo alle strutture predittive e alla visione del mondo che esclude l’eccezionale.
Un punto centrale è la critica ai modelli predittivi basati sulla distribuzione normale e modelli lineari, utili in sistemi “mediocristan” ma del tutto inadatti per ambienti dominati da eventi estremi (“estremistan”) In concreto, Taleb denuncia l’illusione di controllo che deriva dalla fiducia nei software, nelle curve gaussiane e nei report di esperti: strumenti che, di fronte ai cigni neri, risultano colpevolmente fragili.
Parallelamente, l’autore introduce il concetto di fallacia narrativa: la nostra tendenza a costruire storie fittizie per dar senso al caos, rendendo l’incontrollabile percepibile e quindi gestibile, almeno nell’immaginario. Ecco perché siamo così bravi a “spiegare” gli eventi a posteriori, ma così incapaci di prevenirli: la nostra mente cerca legami causa-effetto dove non ci sono, trasformando il mistero in illusione.
Taleb non si limita a smontare teorie o modelli: indica anche un percorso concreto verso l’antifragilità, anticipato nel suo libro successivo Antifragile La resistenza all’imprevisto non basta: dobbiamo progettare sistemi che crescano grazie all’incertezza, non che semplicemente la subiscano. Questo cambio di paradigma coinvolge finanza, politica, scienze sociali e persino scelte personali, proponendo una cultura della flessibilità, della diversificazione e della preparazione agli shock.
Il linguaggio adottato mescola rigore e provocazione. Taleb non ha timore di scardinare l’autorità degli esperti, criticare i guru della statistica o contestare la presunzione di alcuni economisti . Il testo è intriso di aneddoti, arguzie e umorismo tagliente: lo definirei un saggio quantitativo con spirito da pamphlet intellettuale. Talvolta appare arrogante, come evidenziano i lettori, ma proprio questa sfacciata sicurezza stimola la riflessione e scuote la retorica della certezza scientifica .
Dal punto di vista pratico, “Il cigno nero” è un libro che cambia il modo di pensare: non offre formule salvifiche, ma mette in guardia dalla presunzione del prevedibile e invita a costruire sistemi robusti e adattivi. Il valore aggiunto? Un metodo mentis utile a manager, policy maker, imprenditori e professionisti che operano in contesti volatili. Non è un manuale operativo, ma un invito potente alla consapevolezza e alla prudenza epistemica.
Nonostante ciò, alcuni suoi critici lo definiscono ripetitivo o autoriferito: Taleb menziona spesso se stesso o l’amica immaginaria Evgenija — e a tratti lo stile può risultare denso e ridondante. Tuttavia, superata la soglia dello stile provocatorio, emerge una cornice teorica solida e stimolante. La teoria del cigno nero ha rivoluzionato diverse discipline ed è diventata un riferimento centrale per interpretare fenomeni da crisi finanziarie a pandemie.
In conclusione, “Il cigno nero” è un’opera epocale: capace di rivoluzionare la nostra concezione di rischio e imprevedibilità, invitandoci a riconoscere la potenza dell’improbabile nel plasmare la storia. Sebbene Taleb non offra soluzioni chiuse o rassicuranti, la sua opera svolge una funzione fondamentale: obbliga a ripensare il sapere, la pianificazione e i modelli di interpretazione del mondo. Più che un libro da leggere, è un libro da metabolizzare.