*Nota: non percepisco denaro per la segnalazione di questi testi e la recensione pubblicata è frutto della mia personale opinione.

“Raggiungere obiettivi” di Sergio Casella emerge come una guida acuta e coraggiosa dedicata a chi opera in contesti complessi, quei sistemi umani e organizzativi nei quali il binomio classico causa‑effetto raramente trova applicazione. Casella, manager e docente universitario, parte da una considerazione fondamentale: i processi lineari funzionano per task semplici, ma la vera sfida quella che richiede risultati con risorse limitate è affrontare l’incertezza, i paradossi e le dinamiche non prevedibili in sistemi complessi.
Pur in un impianto sintetico di circa 208 pagine, Casella introduce concetti sofisticati come la risonanza – la capacità di individuare ampiezze invisibili che amplificano gli effetti e la necessità di “volare controvento”, cioè di seguire logiche non lineari controintuitive rispetto alle logiche consolidate. Attraverso esempi tratti dalla sua esperienza personale e dalla consulenza, il lettore è accompagnato a riconoscere quando un problema è davvero complesso, spesso si riconosce più per ciò che non funziona, indecisione, caos, blocchi emotivi che per criteri definiti.
Un punto centrale del libro è la distinzione tra sistemi semplici e logiche non lineari. Nei primi, l’obiettivo si raggiunge sequenzialmente, con metodi ripetibili. Nelle seconde ogni elemento, emozioni, credenze, relazioni, trasforma l’intera matrice, e dunque la causa non sempre porta all’effetto sperato. In questi casi, applicare un percorso lineare diventa non solo inefficace, ma addirittura dannoso perché irrigidisce la capacità adattiva.
Casella offre strumenti mentali diversi. Il mapping cognitivo, l’osservazione sistemica, la sperimentazione prototipale, la gestione dell’incertezza. Non si tratta di tecniche freddamente strategiche, ma di un vero e proprio shift paradigmatico conc ui spostare la centralità dalla pianificazione statica all’adattamento dinamico, dalla progettazione a rigidi KPI al monitoraggio di segnali deboli e feedback continui.
La narrazione è scandita da casi aziendali concreti che spaziano dall’implementazione di nuove strategie di business alla risoluzione di conflitti interni o al lancio di progetti innovativi. Ogni episodio funziona da microcosmo ed ognuno mostra la complessità incarnata e la tensione tra il voler prevedere e il dover sperimentare. In questo modo, il volume diventa un manuale operativo ma anche uno specchio sui limiti dei modelli razionali applicati tout court.
Molti lettori collegati a esperienze imprenditoriali o manageriali vedranno un testo “fondamentale” e “stimolante” la cui lettura costringe a ripensare la cornice mentale con cui si affrontano i problemi più sfidanti. Questa testimonianza aggiunge valore alla proposta, perché indica come il libro non sia solo interessante sul piano teorico ma anche utile nella pratica quotidiana.
“Raggiungere obiettivi” non promette soluzioni pronte né scorciatoie ma chiede un cambio di passo, una nuova grammatica del pensiero che consenta di navigare l’imperfetto, interpretare segnali deboli, modulare traiettorie anziché inseguire linee rette. È un libro da tenere a portata di mano per chi lavora con persone, processi e contesti mutevoli e vuole davvero imparare a vincere non nonostante la complessità, ma proprio dentro di essa.

Nel suo libro provocatorio e incisivo, Robert I. Sutton affronta una questione che spesso si sorvola ma che tutti abbiamo sperimentato: la presenza di comportamenti tossici nel contesto lavorativo. Il senso subito forte che emerge dalla lettura è l’urgenza di riconoscere e contrastare gli “stronzi”, termine scelto con rigore per denotare una categoria di persone il cui agire ripetuto genera sofferenza, demotivazione e danni concreti alla salute organizzativa. La premessa arriva empiricamente: in moltissime aziende, silenziosamente o palesemente, lo stress, l’assenteismo e i ricambi di personale si possono ricondurre a dinamiche che nulla hanno a che fare con la performance, ma sono brutale prodotto di atteggiamenti aggressivi, prepotenti, disumanizzanti.
Sutton, docente a Stanford, fonda la sua riflessione sul concetto del “Total Cost of Assholes” – il costo totale che questi individui generano – e lo quantifica attraverso ricerche che indicano come turnover e assenze derivanti dal bullismo sul posto di lavoro pesino sui conti aziendali. Non si tratta dunque di un pamphlet emotivo, ma di un saggio argomentato, arricchito da esperimenti americani ed europei che dimostrano come la scarsa civiltà negata degeneri in attriti sistemici, perdita di talenti e danni reputazionali. La produttività non è mai un’isola: se un membro del team devasta il clima, ne pagano il prezzo uffici interi, divisioni e, alla fine, l’intera organizzazione.
La narrazione di Sutton incide anche perché parla al cuore della questione: non basta sopravvivere all’eccezione, occorre costruire una cultura del lavoro in cui non ne esistano. Da qui l’idea semplice, ma radicale: assumere con la regola “no asshole”, e se qualcuno lo dimostra, intervenire prontamente con strumenti di feedback e nel caso estreme sanzioni. Le aziende virtuose che attuano questa logica non lo fanno per estetica, ma perché preservare la reputazione del clima consente di trattenere talenti e moltiplicare l’engagement.
Uno degli aspetti più autentici e toccanti del libro è la distinzione tra “stronzo temporaneo” e “stronzo certificato”. Tutti, sotto stress, abbiamo avuto atteggiamenti irritanti, ma il punto non è condannare il momento, bensì monitorare i modelli sistemici. Se il comportamento offensivo è occasionale, si interviene con empatia; se diventa stile di leadership si impone netta discontinuità. Ed è proprio questa chiarezza di principi che Sutton ricorda come elemento centrale: non esistono compromessi. La civiltà organizzativa non si contratta.
Relativamente al “come sopravvivere” in ambienti tossici, Sutton aggiunge che lasciare la compagnia non è fuga ma scelta strategica inquilina della consapevolezza, soprattutto in contesti in cui il controllo delle risorse umane non ha ruoli attivi. Le tecniche suggerite – da diari privati nel silenzio della scrivania alla scelta consapevole di non emulare modelli sbagliati – non umiliano, bensì potenziano la libertà individuale. A volte, meglio guardarsi intorno e cercare luoghi in cui si rispetti la dignità professionale.
Accanto alla fotografia lucida e implacabile della dinamica negativa, Sutton offre spunti utili anche su come evitare di diventare “stronzi”, comparendo più volte come “nemico di sé stessi”. Non vuole colpevolizzare, ma invitare a un monitoraggio costante: chiedersi se stiamo facendo sentire qualcuno annoiato, sminuito o escluso. È un invito a calmare il “jerk interno”, mantenendo una pratica costante di ascolto e feedback.
Lo stile è brillante, pieno di umorismo oscuro, quasi da “istruzione di sopravvivenza”, e tuttavia sorretto da una struttura scientifica: ogni storia, ogni esempio, è accompagnato da riferimenti a studi sociali, citazioni e dati precisi, senza sacrificare la leggibilità. Rispetto a un manuale “politically correct” il tono resta umano e pungente. Ciò gli vale anche critiche: alcuni lettori segnalano toni troppo punitivi o una “sorveglianza” che rischia di idealizzare la cultura del lavoro aziendale, riducendo la complessità delle persone a una possibile etichetta. Ma Sutton replica che evitare generalizzazioni non significa non assumersi responsabilità: agire con decisione contro chi mina la comunità è una responsabilità anche collettiva.
In conclusione, “Il metodo antistronzi” è un’opera che scuote, avvia conversazioni che spesso restano sommerse e offre un piano concreto per rigenerare il clima e la cultura del lavoro puntando sul rispetto reciproco. È un libro prezioso per aziende, manager, responsabili HR, ma anche per chiunque si trovi, volontariamente o per caso, in situazioni di abuso silenzioso. Il suo lascito è una domanda che risuona: quanto vale la nostra dignità negli ambienti in cui passiamo molte delle nostre giornate?

emerge per la sua natura pragmatica e i contenuti innovativi. Pubblicato da Franco Angeli nel 2022, il testo ha l’obiettivo di integrare con concretezza i progressi delle neuroscienze HR nella gestione, sviluppo e potenziamento del capitale umano, in particolar modo nello scenario della trasformazione digitale.
Il volume, snello e ben strutturato in 144 pagine, presenta strumenti operativi come l’algoritmo digitale di Valutazione del Potenziale Profondo e il sistema Time to Mind, utili per diagnosticare e sviluppare le competenze sia hard sia soft skill a distanza. Questi strumenti sono pensati per migliorare non tanto la rilevazione accademica, ma l’impatto reale sulle performance delle persone all’interno delle organizzazioni.
La prefazione di Gian Carlo Cocco delinea chiaramente il cuore del libro: la sinergia tra conoscenze aggiornate (hard skill) e comportamenti efficaci (soft skill) costituisce un vero e proprio capitale umano, attorno al quale costruire strategie HR e percorsi formativi. Di Cera esplora come le neuroscienze HR – con l’analisi del cervello corticale e limbico, dei marcatori somatici e degli schemi cognitivi – possano tradurre il comportamento complesso in conoscenza applicabile alla formazione e alla valutazione del potenziale.
Il testo si sviluppa in modo sequenziale e chiaro: parte dai fondamenti bio-psico-sociali del comportamento umano, affronta la valutazione delle prospettive di crescita, approfondisce lo sviluppo a distanza e propone strumenti diagnostici evoluti. Una sezione è dedicata al “rischio stress lavoro correlato”, seguita da un caso aziendale – il sistema Open HR di Banca Popolare del Lazio / Blu Banca – che rivela l’applicabilità pratica dell’approccio illustrato.
Uno degli aspetti più apprezzati dai lettori è la capacità di conciliare rigore scientifico e immediata fruibilità, grazie a un linguaggio accessibile e a una grafica orientata alla consultazione rapida . Scrive Piero Vigutto: “Evita tutto quello che potrebbe annoiare e si concentra su ciò che è utile a chi si occupa di persone”. In un ambito spesso gravato da tecnicismi, Di Cera dimostra che è possibile coniugare innovazione e semplicità.
Dal punto di vista critico, alcuni potrebbero sottolineare l’assenza di approfondimenti teorici più estesi – essendo il libro un manuale e non un trattato universitario – o l’uso di pochi casi concreti, ma ciò che manca in quantità, viene compensato in efficacia qualitativa. La concretezza operativa resta uno dei punti di forza, anche grazie alla forte componente digitale: valutazioni a distanza, algoritmi e piattaforme HR vengono delineati come strumenti imprescindibili nella nuova realtà aziendale.