*Nota: non percepisco denaro per la segnalazione di questi testi e la recensione pubblicata è frutto della mia personale opinione.

Nel suo breve saggio, Edgar Morin propone una visione dirompente, definendo sette conoscenze fondamentali per formare esseri umani capaci di affrontare i grandi interrogativi del futuro. La lettura si presenta come un invito ad andare oltre la frammentazione delle discipline, verso un sapere capace di integrare scienze, storia, etica e umanesimo. Morin parte dalla convinzione che l’educazione, così com’è strutturata oggi, pur attenzione alla trasmissione delle conoscenze scientifiche e tecniche, ignora le proprie basi: la conoscenza di se stessi e dei processi che la nutrono, limitandosi a replicare nozioni senza permettere di interrogare l’essenza del conoscere.
L’autore propone quindi di insegnare a conoscere l’errore e l’illusione, ponendo le basi per una coscienza lucida della fallibilità umana. Questa idea si sviluppa sul riconoscimento che la frammentazione del sapere, prodotto da compartimenti disciplinari, limita la capacità di comprensione globale del mondo. Morin suggerisce quindi un pensiero pertinente, in cui la comprensione dei fenomeni avviene entrando nei loro contesti più ampi, riconoscendo interazioni e correlazioni.
La riflessione si amplia quando Morin affronta la “condizione umana”: per educare a pensare la propria identità, non si può ignorare la dimensione storica, culturale, psicologica ma anche biologica e sociale che connota ogni singolo individuo. Ne deriva un approccio educativo multidimensionale, in cui convergono scienze sociali, filosofia e persino letteratura. Allo stesso modo, Morin enfatizza l’importanza dell’“identità terrestre”: viviamo in un mondo globalizzato e d’ora in poi educativo significa far comprendere che siamo parte di una comunità planetaria con responsabilità condivise, fragilità comuni e risorse limitate.
Un altro tema cruciale affrontato è l’incertezza, centrale nel ventunesimo secolo. Morin sottolinea come la scienza stessa dimostri l’imprevedibilità delle realtà su scala micro e macro, suggerendo che l’educazione complessa dovrebbe preparare a navigare in un “oceano d’incertezze” anziché spingere verso certezze illusorie. Questo implica educare anche al dubbio, all’errore, ad apprendere da ciò che non funziona.
Al centro c’è poi la “comprensione”, intesa non solo come conoscenza ma anche come capacità empatica di incontrare l’altro. Progettare un’educazione complessa alla comprensione significa insegnare a vedere nei punti di vista altrui, ad analizzare l’incomprensione stessa come elemento strutturale dei rapporti tra individui, culture, nazioni. Infine, Morin richiama l’etica del genere umano, invitando a riconoscere simultaneamente la dimensione individuale, sociale e planetaria dell’uomo. L’insegnamento così inteso non mira a formare individui isolati, ma cittadini consapevoli, pronti a un impegno democratico e cooperativo verso l’umanità intera.
Il testo, sorprendentemente denso pur nella sua brevità, risulta energia e provocazione pedagogica in egual misura: costringe a riflettere sulla natura dell’educazione complessa e sul ruolo degli insegnanti e formatori nel nostro tempo complesso. Secondo alcuni lettori, immersi nella metamorfosi globale e smarriti dall’accelerazione dei cambiamenti, questo libro serve da bussola, perché sposta l’orizzonte dell’educazione complessa dal piccolo al planetario e attiva una prospettiva critica sui contenuti, sui metodi e persino sulle finalità dell’insegnare.
Nel contempo, l’autore non propone soluzioni prestabilite, ma sollecita una “riforma del pensare” capace di riconnettere saperi, riconciliando sapere ed esistenza, apprendimento e responsabilità. Il risultato è un testo vivace, dialogico, vero manifesto per un’educazione complessa integrale, globale e civile.

Il volume “Sei cappelli per pensare”, pubblicato originariamente nel 1985 da Edward de Bono, rappresenta una pietra miliare per chi aspira a pensare in modo strutturato ed efficace, superando i limiti delle discussioni spontanee o disordinate. De Bono, medico, psicologo e grande divulgatore del pensiero strutturato e creativo (“pensiero laterale”), introduce nel testo una metafora semplice ma potente: ogni “cappello” di colore diverso incarna una modalità cognitiva specifica, permettendo al gruppo (o all’individuo) di focalizzare l’attenzione in un approccio alla volta.
Nel metodo dei sei cappelli, il Cappello Bianco rappresenta il pensiero neutrale e oggettivo: si raccolgono fatti, dati, informazioni. È il cappello dell’informazione pura, ideale per partire da basi solide. Il Cappello Rosso autorizza alle emozioni: si esprimono sensazioni, intuizioni e reazioni istintive, senza ragioni obbligatorie. Il Cappello Nero incarna il giudizio critico: analizzare rischi, criticare criticamente con rigore, ma in modalità costruttiva . Al contrario, il Cappello Giallo stimola l’ottimismo e la valutazione dei benefici, considerandone il potenziale in modo razionale. Il Cappello Verde è spazio alla creatività pura: idee, opzioni, soluzioni alternative, spunti originali. Infine, il Cappello Blu funge da coordinatore: struttura il processo, definisce le regole del gioco, dà ordine al pensiero strutturato e mantiene l’equilibrio tra i cappelli.
L’efficacia di questa metodologia risiede nella sua fluidità e semplicità applicativa: sia in gruppo sia in modo individuale, ogni “cappello” può essere “indossato” in sequenza per esplorare un tema da più prospettive, evitando di mescolare emozioni, fatti, idee, critiche e visioni ottimistiche in un unico flusso mentale confuse . Questo vale sia per i team aziendali sia per attività personali come pianificare progetti, decidere investimenti o risolvere conflitti.
Molti lettori enfatizzano la leggerezza espositiva del libro: de Bono adotta un linguaggio diretto, ripetendo con chiarezza il valore dei cappelli, e supportando ogni concetto con esempi immediati e dialoghi “da teatro”. La struttura prevede, inoltre, sintesi finali per ogni cappello che facilitano l’apprendimento e la consultazione veloce, rendendo ideale il libro anche per chi ha poco tempo .
Questo metodo funziona anche come strumento di facilitazione di gruppo – utile nelle riunioni e nel decision-making aziendale – poiché aiuta a separare i ruoli mentali e a prevenirne il prevalere di uno solo (es. troppo critico o emotivo) . Viene ripetutamente menzionata la capacità del metodo di rendere le riunioni più brevi, più strutturate e orientate ai risultati .
“Sei cappelli per pensare” rimane un classico: tra i libri di pensiero strutturato e creativo più adottati in aziende, istituzioni e scuole, continua a essere una guida pratica, immediatamente applicabile, capace di trasformare il modus operandi mentale in decisioni più efficaci e condivise. È un libro breve ma denso di contenuti, un manuale da tenere a portata di mano in riunione o nelle sessioni di confronto.
In conclusione, l’opera di Edward de Bono introduce una metodologia di parallel thinking davvero utile: consente di esplorare un problema dalla logica all’intuizione, dalla creatività alla critica, organizzando il pensiero strutturato in modo sinergico. Resta uno strumento imprescindibile per team leader, formatori, manager, coach, consulenti e chiunque desideri migliorare l’efficacia delle decisioni individuali e collettive.

Nel suo “Creatività e pensiero laterale”, Edward De Bono traduce in pratica i concetti fondamentali del pensiero laterale, già esposti nel suo celebre saggio teorico, offrendo al lettore non solo riflessioni ma esercizi concreti e applicazioni quotidiane. Questo manuale rappresenta un ponte tra l’astrazione e la dimensione operativa: l’autore, riconosciuto a livello mondiale come il padre del pensiero creativo, invita a prendere consapevolezza che spesso i ragionamenti convenzionali limitano le soluzioni, mentre gli approcci laterali aprono spazi di possibilità fino a quel momento ignorati.
Fin dalle prime pagine emerge con chiarezza il contrasto tra due modalità di pensiero: quello “verticale”, guidato da logica e routine, e quello “laterale”, capace di rompere schemi consolidati per spingere la mente a cogliere vie traverse e associazioni inaspettate. De Bono conferma che per produrre soluzioni innovative bisogna spesso ribaltare presupposti, spezzare legami consolidati e affidarsi alla casualità creativa, accogliendo quei “diversi punti di vista” da cui nascono i veri salti di qualità .
La grande forza del libro risiede nella sua struttura pratica: gli esempi, i piccoli giochi e le tecniche (come inversione, decomposizione del problema, analogie, provocazioni) stimolano il lettore a esercitarsi concretamente. Questi strumenti non restano sul piano teorico, ma diventano strumenti mentali da attrezzare, simili a muscoli da allenare con costanza. Molti lettori apprezzano proprio questo aspetto, segnalando come le spiegazioni in profondità e i riferimenti neurologici rendano il testo adatto sia a chi progetta che alla formazione .
Rileggere alcuni esercizi suggeriti all’inizio (come la trasformazione di forme geometriche o spunti per rompere rigidezze mentali) fa capire come De Bono punti a far riconoscere i propri limiti cognitivi. La genialità del metodo sta proprio nel creare spazi vuoti – mentalmente e temporalmente – dove l’ignoto possa emergere, abbandonando la razionalità per abbracciare la “creazione dello spazio” per la mente.
Se dovessimo individuare un limite, sarebbe l’assenza di approfondimenti sulle implicazioni etiche o sulle dinamiche organizzative che emergono quando il pensiero creativo viene introdotto in una cultura aziendale rigida. Le tensioni tra metodo libero e processi strutturati non vengono esplorate a fondo, ma il testo conserva la sua natura di manuale operativo, più orientato al “come fare” che al “quando resistere”.
In sintesi, “Creatività e pensiero laterale” è un volume che parla a manager, team di innovazione, studenti e formatori interessati a irrigare la propria mentalità con strumenti creativi. Non è un trattato denso, ma un vero e proprio alleato per chi intende coltivare la capacità di pensiero divergente, superare abitudini mentali e progettare soluzioni non convenzionali. È un invito a vedere la creatività come abilità quotidiana e allenamento costante, con esercizi alla portata di tutti e intenzionalità consapevole.