*Nota: non percepisco denaro per la segnalazione di questi testi e la recensione pubblicata è frutto della mia personale opinione.

Il testo “Giochi da prendere sul serio” rappresenta una tappa significativa nel panorama italiano sulla gamification, raccogliendo l’esperienza di tre esperti del settore: Alberto Maestri, esperto di content e customer experience; Pietro Polsinelli, game designer attivo nell’applicazione di meccaniche ludiche; Joseph Sassoon, professionista del branded entertainment. Con un approccio multidisciplinare che abbraccia comunicazione, psicologia, storytelling e game design, il volume si rivolge a manager, formatori, designer e consulenti che vogliono progettare esperienze connesse a obiettivi strategici, senza scadere in semplici meccanismi superficiali.
Tra le pagine si respira un’aria di pragmatismo informato e creatività: gli autori sottolineano che la gamification non è un intrattenimento estemporaneo, ma una metodologia strutturata capace di veicolare trasformazioni misurabili. Non è un gioco fine a sé stesso, ma un modo per integrare obiettivi organizzativi e bisogni emotivi dei fruitori, offrendo esperienze che coinvolgono senza svuotarsi. L’idea non è introdurre badge e classifiche a caso, bensì costruire narrazioni che risuonano, obiettivi che contano e dinamiche che motivano in modo autentico .
Le pagine del libro accompagnano il lettore attraverso concetti fondamentali del game design: le meccaniche, le dinamiche, l’esperienza utente, il valore dell’autonomia, della competenza e della motivazione significativa. Viene enfatizzata la dimensione narrativa come ponte tra esperienza e senso, richiamando il potere dello storytelling per creare immersione e identificazione. Il testo richiama principi già esplorati da studiosi come Deterding, che evidenzia tre pilastri irrinunciabili per una gamification efficace: meaning, mastery e autonomy.
Chiunque affronti progetti di gamification sa quanto sia facile incappare in soluzioni prefabbricate e dunque inefficaci nel medio termine. Il merito del libro risiede nel riportare l’attenzione su tre elementi chiave: la ricerca del senso autentico, la qualità del design e la coerenza tra narrazione e obiettivi. Gli autori non esitano a citare casi italiani e internazionali, esemplificando con esperienze reali e utili. Ne emerge un quadro concreto, non teorico: progetti costruiti intorno a valori condivisi, tracciamento partecipativo e motivazione intrinseca.
“La Gamification è una cosa seria”, ripetono gli autori, e il volume appare calibrato per offrire strumenti operativi (framework, domande guida, mappe concettuali) senza cadere nella superficialità. Il testo è compatto – circa 124 pagine – ma denso di contenuti. La nuova edizione introduce aggiornamenti, approfondimenti e nuove case history, mantenendo lo spirito di guida agile ma efficace.
Chi si avvicina per la prima volta alla gamification troverà questo volume accessibile ma robusto: il linguaggio è tecnico quando serve, ma mai ostico, e la struttura agevola la lettura fluida. Allo stesso tempo, chi ha già esperienza nel game design o nell’employee engagement potrà trarre stimoli e riflessioni, dato l’aggiornamento continuo di esempi e lo sguardo prospettico sulle evoluzioni future della gamification.
Va tuttavia riconosciuto che l’impostazione pratica, prediligendo casi e framework, lascia fuori un’analisi profonda sulle implicazioni etiche e sui limiti della ludicizzazione. Chi teme deriva verso micromanagement o manipolazione dei comportamenti potrebbe rimanere a metà tra la prospettiva entusiasta e la riflessione critica. Sebbene il testo accenni all’importanza di rispetto e significato, non sviluppa un capitolo dedicato sulle conseguenze negative, un tema sempre più dibattuto a livello accademico .
In conclusione, “Giochi da prendere sul serio” riesce a farsi spazio come manuale pratico e ispirazionale per chi intende applicare la gamification con consapevolezza. É un invito concreto, una mappa agile e un appello alla responsabilità progettuale; un’opera ideale per chi vuole trasformare obiettivi organizzativi in esperienze coinvolgenti, capaci di generare impatto e sostenibilità nel tempo.

In “Il potere della gamification”, Vincenzo Petruzzi compone un’opera compatta ma illuminante, che rivela come il gioco, spesso relegato a puro intrattenimento o passatempo infantile, possa diventare uno strumento strategico in grado di trasformare comportamenti, motivazione e performance individuali. Il libro si apre con l’esplorazione delle radici storiche e culturali della ludicizzazione, un “glossario in costruzione” che delinea il confine tra gioco digitale e gamification, chiarendo che quest’ultima non è tecnologia né intrattenimento, ma una metodologia rivolta ad attivare processi cognitivi e affettivi. In un’epoca dominata da connessioni sempre più pervasive e piattaforme social, il fenomeno assume proporzioni inedite, modificando il modo in cui apprendiamo e agiamo nel lavoro, nella formazione e nella vita sociale.
Nel cuore del testo, Petruzzi analizza le dinamiche neuroscientifiche che rendono il gioco un potente collante motivazionale. Elementi come il senso di progresso, la paura della perdita o la gratificazione immediata stimolano aree cerebrali primarie: spingono le persone a perseguire obiettivi con un coinvolgimento che va oltre la semplice volontà di successo, rivolgendosi a bisogni più immediati e profondi come la competizione, la cooperazione o l’autorealizzazione . In questo modo, il gioco diventa catalizzatore di cambiamento nei contesti aziendali, nelle campagne di sensibilizzazione, nei processi formativi, nel recruiting, nella sostenibilità ambientale, fino alla sanità e al terzo settore.
Petruzzi non punta a ricette preconfezionate, ma presenta casi di studio concreti: il celebre esperimento della scala-pianoforte nella metropolitana, che ha fatto scegliere di camminare all’80% degli utenti pur di suonare una nota, dimostra come una “spinta gentile” possa modificare comportamenti in modo spontaneo e sorprendente. Allo stesso modo, la gamification applicata nel mondo dell’anticorruzione, come emerge in studi scientifici pubblicati sul Journal of e-Learning and Knowledge Society, è uno strumento potente per integrare conoscenze normative con cambiamenti profondi nei credi e nei comportamenti individuali.
Pur breve (circa 110 pagine), il libro colpisce per la sua efficacia: è pensato per essere letto in una giornata, ma lascia un segno, grazie agli esempi concreti, al rigore nell’analisi e alla chiarezza espositiva . L’autore smonta l’idea di gamification come moda passeggera, proponendola invece come rivoluzione culturale, destinata ad accompagnare la nostra alfabetizzazione digitale e la crescente relazione tra rete e comportamento umano.
Non manca una nota critica sul possibile fraintendimento del fenomeno. Se applicata superficialmente, la ludicizzazione rischia di diventare mero sistema di premi o spettro di controllo, con effetti dannosi come il micromanagement o un impegno effimero che svanisce con le ricompense. Petruzzi sottolinea che la gamification di qualità deve agire sul lungo termine, creando apprendimento, consapevolezza e cultura, non solo gratificazione superficiale.
Affinché il gioco acquisisca cambiamento vero e duraturo, serve una progettazione accurata e consapevole, capace di modulare meccaniche e narrazioni sulla base di obiettivi strategici e valori condivisi. È in questo spazio di interdipendenza tra tecnologie, neuroscienze e progettazione educativa che si colloca il vero potere della gamification.

“Allenarsi alla complessità: schemi cognitivi per decidere e agire in un mondo non ordinato” di Alessandro Cravera si presenta come un invito urgente e ben fondato a ripensare le nostre strategie mentali nel contesto attuale, segnato da interconnessioni rapidissime, imprevedibilità e rincorsa costante ai trade‑off. Cravera, manager e docente, parte da un’innegabile constatazione: nei sistemi non ordinati, quelli dove un piccolo gesto può innescare grandi conseguenze, continuare a operare come se fossimo in un universo lineare significa rischiare disastri professionali e personali. Il suo libro propone quindi di sostituire le logiche sequenziali tipiche dei processi semplici con approcci più flessibili, adattivi, e soprattutto consapevoli della complessità contemporanea.
La narrazione si articola attorno a concetti fondamentali come la risonanza, cioè la capacità di individuare quei punti di leva invisibili all’interno di un sistema, e l’approccio sperimentale tipico dei “problemi non ordinati”. In questo contesto, Cravera dedica particolare attenzione a definire cosa distingue un leader capace di interpretare il futuro, o almeno di anticiparne segnali deboli, da chi invece, pur motivato, rimane intrappolato in schemi obsoleti. Il testo propone strumenti cognitivi e mentali, dal mapping sistemico alla sperimentazione iterativa, fino alla gestione dell’incertezza tramite cicli rapidi di feedback .
“Allenarsi alla complessità” non usa formule magiche ma suggerisce un vero e proprio allenamento mentale, con esercizi calibrati, consapevolezza dell’impatto su scala sia locale sia globale, e forte connessione tra discipline – management, filosofia, psicologia e sociologia. L’azione, per Cravera, non è più sequenziale ma circolare: agisci, osserva, apprendi, adatta. Invece del tipico “analizza-pianifica-implementa”, serve imparare a navigare l’irreversibile e l’imprevisto.
I lettori appassionati di business organization e leadership ritroveranno in queste pagine passaggi illuminanti sui sistemi adattivi, quelli in cui la soluzione sub-ottimale va cercata non nel risultato perfetto, ma nella capacità di mantenere le opzioni aperte, di reagire ai fallimenti e di sfruttare le connessioni possibili. Il ritratto di una guida utile per manager, amministratori ed executive che non si accontentano di comandi semplici, ma desiderano navigare l’oscillazione tra ordine e caos .
Il valore del libro emerge anche dall’equilibrio tra rigore e semplicità di esposizione, i tecnicismi sono contenuti, le definizioni sono esplicate in modo diretto e intelligente, grazie anche a una struttura che accompagna il lettore dall’impostazione del mindset al set di strumenti pratici. È un manuale teorico‐operativo, non un trattato filosofico astratto e conserva il pregio di stimolare la riflessione senza sovraccaricare di complessità sterile.
“Allenarsi alla complessità” è un testo che innalza la cultura organizzativa oltre la burocrazia e la routine, richiamando alla responsabilità di chi guida e di chi decide. È una palestra intellettuale per chi non si accontenta di soluzioni facili, ma vuole affrontare le sfide contemporanee con strumenti adeguati alla natura non ordinata delle dinamiche sociali e lavorative. Per chi desidera davvero prepararsi ai prossimi vent’anni, questo libro rappresenta un passaporto cognitivo indispensabile.