cultura lavoro - Il metodo antistronzi. Come creare un ambiente di lavoro più civile e produttivo o sopravvivere se il tuo non lo è. Copertina.

Anno: 2007

Autore: Robert I. Sutton

Casa editrice: Elliot

Nel suo libro provocatorio e incisivo, Robert I. Sutton affronta una questione che spesso si sorvola ma che tutti abbiamo sperimentato: la presenza di comportamenti tossici nel contesto lavorativo. Il senso subito forte che emerge dalla lettura è l’urgenza di riconoscere e contrastare gli “stronzi”, termine scelto con rigore per denotare una categoria di persone il cui agire ripetuto genera sofferenza, demotivazione e danni concreti alla salute organizzativa. La premessa arriva empiricamente: in moltissime aziende, silenziosamente o palesemente, lo stress, l’assenteismo e i ricambi di personale si possono ricondurre a dinamiche che nulla hanno a che fare con la performance, ma sono brutale prodotto di atteggiamenti aggressivi, prepotenti, disumanizzanti.

Sutton, docente a Stanford, fonda la sua riflessione sul concetto del “Total Cost of Assholes” – il costo totale che questi individui generano – e lo quantifica attraverso ricerche che indicano come turnover e assenze derivanti dal bullismo sul posto di lavoro pesino sui conti aziendali. Non si tratta dunque di un pamphlet emotivo, ma di un saggio argomentato, arricchito da esperimenti americani ed europei che dimostrano come la scarsa civiltà negata degeneri in attriti sistemici, perdita di talenti e danni reputazionali. La produttività non è mai un’isola: se un membro del team devasta il clima, ne pagano il prezzo uffici interi, divisioni e, alla fine, l’intera organizzazione.

La narrazione di Sutton incide anche perché parla al cuore della questione: non basta sopravvivere all’eccezione, occorre costruire una cultura del lavoro in cui non ne esistano. Da qui l’idea semplice, ma radicale: assumere con la regola “no asshole”, e se qualcuno lo dimostra, intervenire prontamente con strumenti di feedback e nel caso estreme sanzioni. Le aziende virtuose che attuano questa logica non lo fanno per estetica, ma perché preservare la reputazione del clima consente di trattenere talenti e moltiplicare l’engagement.

Uno degli aspetti più autentici e toccanti del libro è la distinzione tra “stronzo temporaneo” e “stronzo certificato”. Tutti, sotto stress, abbiamo avuto atteggiamenti irritanti, ma il punto non è condannare il momento, bensì monitorare i modelli sistemici. Se il comportamento offensivo è occasionale, si interviene con empatia; se diventa stile di leadership si impone netta discontinuità. Ed è proprio questa chiarezza di principi che Sutton ricorda come elemento centrale: non esistono compromessi. La civiltà organizzativa non si contratta.

Relativamente al “come sopravvivere” in ambienti tossici, Sutton aggiunge che lasciare la compagnia non è fuga ma scelta strategica inquilina della consapevolezza, soprattutto in contesti in cui il controllo delle risorse umane non ha ruoli attivi. Le tecniche suggerite – da diari privati nel silenzio della scrivania alla scelta consapevole di non emulare modelli sbagliati – non umiliano, bensì potenziano la libertà individuale. A volte, meglio guardarsi intorno e cercare luoghi in cui si rispetti la dignità professionale.

Accanto alla fotografia lucida e implacabile della dinamica negativa, Sutton offre spunti utili anche su come evitare di diventare “stronzi”, comparendo più volte come “nemico di sé stessi”. Non vuole colpevolizzare, ma invitare a un monitoraggio costante: chiedersi se stiamo facendo sentire qualcuno annoiato, sminuito o escluso. È un invito a calmare il “jerk interno”, mantenendo una pratica costante di ascolto e feedback.

Lo stile è brillante, pieno di umorismo oscuro, quasi da “istruzione di sopravvivenza”, e tuttavia sorretto da una struttura scientifica: ogni storia, ogni esempio, è accompagnato da riferimenti a studi sociali, citazioni e dati precisi, senza sacrificare la leggibilità. Rispetto a un manuale “politically correct” il tono resta umano e pungente. Ciò gli vale anche critiche: alcuni lettori segnalano toni troppo punitivi o una “sorveglianza” che rischia di idealizzare la cultura del lavoro aziendale, riducendo la complessità delle persone a una possibile etichetta. Ma Sutton replica che evitare generalizzazioni non significa non assumersi responsabilità: agire con decisione contro chi mina la comunità è una responsabilità anche collettiva.

In conclusione, “Il metodo antistronzi” è un’opera che scuote, avvia conversazioni che spesso restano sommerse e offre un piano concreto per rigenerare il clima e la cultura del lavoro puntando sul rispetto reciproco. È un libro prezioso per aziende, manager, responsabili HR, ma anche per chiunque si trovi, volontariamente o per caso, in situazioni di abuso silenzioso. Il suo lascito è una domanda che risuona: quanto vale la nostra dignità negli ambienti in cui passiamo molte delle nostre giornate?

Il libro potete trovarlo qui.