Jobber: Giocano a fare i Manager, poi si sbucciano le ginocchia. Recensione di Piero Vigutto.

Anno: 2019

Autore: Matteo Fini

Casa editrice: Independently published

Il titolo cattura subito l’attenzione con la sua forza ironica e dislocante. Appartenente al panorama delle opere auto-pubblicate che mescolano romanzo, saggio e racconto personale, il libro propone una immersione rapida e tagliente nel vissuto quotidiano del lavoro d’ufficio. In appena 135 pagine, Fini scardina con un linguaggio scorrevole e diretto le dinamiche del “gioco da manager”, restituito con sarcasmo, frustrazione e autenticità.

Il volume si definisce piuttosto come “un quadro, magari un po’ non sense”, scritto per provocare tanto quanto per rispecchiare ciò che molti lavoratori vivono ogni giorno. Il “jobber”, figura centrale del testo, è quel professionista che recita a soggetto nel teatro aziendale, incaricato di compiti sovente insignificanti e frammentari, che termina la giornata con le ginocchia sbucciate, metafora di un’esperienza professionale spesso dolorosa e demotivante.

Quello che rende “Jobber” efficace è la capacità dell’autore di raccontare con poche parole scene riconoscibili: il capo che impone idee senza concretezza, l’incompetenza strutturale, la burocrazia sterile, l’insicurezza dolorosamente percepita come personale. Alcuni lettori lo descrivono come “divertentissimo” e “carico di crude verità”  apprezzando lo stile ironico che scuote senza pietà la routine.

La forza narrativa di Fini non risiede nella teoria ma nella capacità di colpire con una frase o un’immagine che lascia il segno. Affermazioni come “Jobber sei tu” o “Jobber potevi scriverlo tu” mettono in dialogo il lettore con il testo, facendo risuonare la propria esperienza come se fosse raccontata da dentro.

Il libro sorprende anche nei momenti emotivamente forti, quando la frustrazione si trasforma in consapevolezza motivazionale. Il sarcasmo diventa catalizzatore per mettere in moto una riflessione: se ti senti un jobber, potresti smettere di viverlo come destino e provare a cambiare, magari adottando un approccio da “main eventer”, come suggerisce Fini . In questo senso, il libro si rivela un curioso ibrido, non un manuale ma nemmeno semplice invettiva piuttosto un invito a ridere e riflettere in un unico gesto.

Fini fa emergere la dimensione psicologica del lavoro l’insicurezza, la ricerca di riconoscimento, la paura dell’errore. La narrazione a volte confidenziale, altre volte carnale, mette in luce quanto il contesto aziendale possa gestire persone come pedine, assegnando loro compiti inutili, senza strumenti né motivazione, lasciando ferite emotive, le ginocchia sbucciate, che restano anche dopo la fine del turno.

“Jobber” è un’opera perfettamente consapevole, brevissima, tagliente, semplice ma orgogliosamente efficace. È per chi cerca un libro che dica “sei tu” e che dica “smettila di piangere e ridi di te”, mettendoti al centro di una introspezione mordi-e-fuggi. Una lettura rapida, divertente e pungente, capace di colpire le corde emotive più intrise di stanchezza professionale.

Il libro potete trovarlo qui.