pensiero critico - Il paradosso della stupidità. Il potere e le trappole della stupidità nel mondo del lavoro. Recensione di Piero Vigutto.

Anno: 2017

Autore: Mats Alvesson, André Spicer

Casa editrice: Raffaello Cortina Editore

Nel suo saggio provocatorio, Alvesson e Spicer emergono come pensatori audaci, smascherando l’insidiosità della “stupidità funzionale” nelle organizzazioni, quel paradosso per cui persone intelligenti mettono da parte il pensiero critico per obbedire a logiche di conformità, procedure o branding. Il titolo, forte e diretto, anticipa un’analisi serrata del rapporto tra potere, routine e la tendenza a sacrificare la riflessione sul lavoro efficiente ma potenzialmente insensato. La loro tesi si fonda sull’osservazione che in molte realtà complesse vengono installate dinamiche che rendono inutile domandarsi “perché?”, favorendo l’“esegui e basta” in nome dell’armonizzazione tra colleghi e dell’azione organizzativa—una strategia di breve termine utile, ma pericolosa se protratta nel tempo.

Il testo ruota attorno all’idea che la stupidità funzionale possa perfino aiutare a mantenere la coesione del gruppo, evitando conflitti e ritardi, ma che questa stessa dinamica costituisca un potenziale disastro quando idealizzata o istituzionalizzata. Il vero paradosso è che l’accuratezza dell’esecuzione non garantisce la profondità del pensiero critico, e un’organizzazione carente di pensieri critici può abbandonarsi a fallimenti imponenti . Il libro ci spinge a vedere quanto accade frequentemente: brillanti laureati, reclutati come “menti pensanti”, alimentano processi che ignorano segnali di pericolo, affidandosi ingenuamente a modelli, branding e procedure vuote.

La parte centrale distingue cinque tipologie di stupidità funzionale: quella indotta da leadership autoritarie o manipolative, da strutture rigide, dall’imitazione acritica, dal branding e dalla cultura aziendale. Gli autori analizzano con sarcasmo e chiarezza come manager possano spingerci a non fare domande, brandizzare l’esistente pur di apparire innovativi, o seguire mode organizzative senza processi di senso. Casi concreti – come la dipendenza da slide più che da analisi sostanziali, corsi formativi vuoti, o strategie di cambiamento reiterate senza modifiche reali – rendono il ritratto di un mondo del lavoro in cui l’apparenza spesso vale più della sostanza.

Pur da tono critico, Alvesson e Spicer non demonizzano completamente questa dinamica: riconoscono che una piccola quota di stupidità funzionale può servire a compattare gruppi, evitare paralisi decisionale e mantenere flessibilità. Tuttavia, quando diventa sistema, spegne la creatività, alimenta la mediocrità collettiva e indebolisce la resilienza organizzativa. Il vero fallimento emerge quando la stupidità funzionale si trasforma in cultura dominante, scavando un solco tra competenza individuale e performance collettiva.

Il capitolo finale propone un antidoto: coltivare la “negative capability”, cioè la capacità di convivere con incertezze, dubbi e domande scomode. Vengono suggeriti strumenti concreti: il ruolo del “devil’s advocate”, l’uso di pre e post-mortem, il coinvolgimento dei nuovi arrivati come osservatori, o la creazione di task force anti‑stupidità. Si tratta di elementi concreti per ripensare l’organizzazione: non eliminare l’ordine o l’efficienza, ma integrarla con riflessione critica e libertà cognitiva.

Lo stile è stimolante, tagliente, spesso ironico. Gli autori non si accontentano di criticare: offrono strumenti operativi per dirigenti, team leader e professionisti che desiderano portare il pensiero critico riflessivo al centro del proprio lavoro, senza rinunciare all’efficacia. Nella sostanza, il libro diventa una richiesta di responsabilità intellettuale collettiva: non accettare semplicemente l’ordine stabilito, ma interrogare la sua validità e significato.

In conclusione, “Il paradosso della stupidità” è un testo che scuote le coscienze aziendali e individuali, spingendoci a riflettere su quanto di ciò che facciamo sia davvero pensato, e non semplicemente ereditato o imposto. È una lettura vivificante per chi gestisce persone o processi, ma anche per chi vuole mantenere la propria integrità intellettuale in contesti che troppo spesso premiano l’esecuzione silenziosa. Il vero cambiamento si gioca tra armonia e pensiero critico: bilanciare questi elementi è il salto evolutivo di cui ogni organizzazione ha bisogno.

Il libro potete trovarlo qui.