*Nota: non percepisco denaro per la segnalazione di questi testi e la recensione pubblicata è frutto della mia personale opinione.

“Indipendenti. Guida allo smart working” rappresenta un contributo significativo al dibattito sul futuro del lavoro, perché Marco Bentivogli, ex segretario della FIM‑CISL e oggi protagonista delle politiche sull’Intelligenza Artificiale, affronta il tema non come ideologo, ma con la concretezza di chi ha vissuto tensioni e cambiamenti reali. Il volume inquadra lo smart working come un’opportunità da gestire con responsabilità, mettendo in guardia dai rischi di un “fai-da-te” effetto pandemia, con risultati male interpretati o generati dalla routine del telelavoro spinto senza regole e strutture organizzative adeguate.
Bentivogli sottolinea che lo smart working non è sinonimo di lavoro da casa, ma una modalità basata sui risultati, la fiducia tra manager e collaboratori, e la consapevolezza della propria autonomia. Secondo lui, si tratta di una «sfida di sostenibilità per riprendersi la vita e costruire un lavoro migliore», un passaggio che deve coinvolgere tutte le componenti e concretizzarsi in un cambiamento culturale più che organizzativo.. La vera svolta appare quando sottolinea come si sia passati da una cultura del controllo, basata su orari e presenze, a forme di responsabilità e libertà che valorizzano autonomia e fiducia.
Bentivogli illustra con chiarezza i vantaggi che lo smart working porta a livello individuale – flessibilità, riduzione degli spostamenti, bilanciamento tra professione e vita privata – ma non tralascia i rischi se attuato senza strategie: isolamento, lavoro eccessivo, mancanza di servizi e strumentazioni adeguate. Emblematico è il riferimento al «cottimo digitale» di chi finisce connettersi 20 ore al giorno, oppure a chi svolge lavoro da remoto in camere non idonee o senza supporto tecnico adeguato.
L’autore propone un paradigma nuovo: lavoratori “in‑dipendenti”, ossia liberi nella gestione del proprio tempo, responsabili dei risultati e integrati in un’organizzazione che valorizza la reciprocità. Smart working diventa così sinonimo non di indipendenza tout court, ma di autonomia consapevole, a cui l’azienda deve rispondere attivando infrastrutture, norme e competenze adeguate.
Un punto di forza del volume è l’attenzione al cambiamento culturale: l’autore spiega che lo smart working ha senso solo se si mette in discussione la cultura “scrivanocentrica” che premia presenza e rigidità, aprendo piuttosto a modalità incentrate sulla fiducia, sulla flessibilità e su obiettivi misurabili. Questa riflessione si inserisce nel più ampio dibattito su come valorizzare il talento, anche nei contesti più strutturati come la Pubblica Amministrazione o la grande impresa.
Bentivogli non nasconde inoltre la complessità del processo: l’Italia non può trasferirsi semplicemente in remoto. Serve un piano nazionale di alfabetizzazione digitale che includa gli over‑50 e le aree periferiche, una maggiore qualità delle infrastrutture e una revisione condivisa delle regole tra imprese, sindacato e istituzioni.
Il testo è agile, con poco più di 200 pagine, denso di riflessioni e spunti. È pensato per un pubblico ampio – manager, HR, policy maker, sindacati, lavoratori – offrendo una visione pragmatica e orientata all’azione. Non manca il richiamo ad allineare lo smart working all’industria 4.0, all’intelligenza artificiale e a modelli di organizzazione che puntano sulla produttività intelligente e non sulla quantità di tempo trascorso davanti a una scrivania .
Tra i suggerimenti più convincenti troviamo l’importanza di misurare i risultati, di formare le persone in competenze digitali e relazionali, di ripensare gli spazi fisici e i modelli di leadership. Bentivogli insiste che senza un forte investimento in cultura e infrastrutture anche la migliore volontà rischia di naufragare in una forma apparente di smart working basata sul telelavoro semplificato .
Se il libro resta privo di eccessive formule tecniche o manageriali, è invece ricco di argomentazioni tratte dall’esperienza diretta. Questo rende la lettura credibile e concreta: Bentivogli parla come chi ha vissuto le crisi aziendali, i cambiamenti strutturali e i conflitti tra tradizione e innovazione. Il suo messaggio è chiaro: lo smart working può cambiare il lavoro e la vita, ma solo se lo costruiamo insieme, con responsabilità, servizi, formazione e un salto culturale collettivo.

“Selezioni Inumane” si presenta subito come un ‘quasi romanzo’ imperniato su storie vere e verosimili di candidate e candidati passati attraverso processi di reclutamento spietati e poco trasparenti. Denis Murano (pseudonimo di un ex direttore HR) e David Bonaventura (manager vittima di discriminazione anagrafica in un colloquio) raccontano a due mani come il mondo delle selezioni possa riservare esperienze paradossali, manipolazioni e umiliazioni, spesso lontane dalla competenza e dal merito.
Il libro si struttura come una raccolta di racconti che mescolano realismo crudo, ironia e provocazione: ogni capitolo dipinge un episodio emblematico – dalle domande imbarazzanti alle attese interminabili, fino alle motivazioni inspiegabili che spingono al rifiuto – il tutto senza filtri di politically correct. Questo tono cinico e scorrevole, già apprezzato in “Risorse inumane” di Murano, viene confermato dalle recensioni: lettura veloce, divertente ma tagliente, per riflettere sul funzionamento del recruiting aziendale.
Il valore del testo risiede nella capacità di mettere sotto i riflettori due dimensioni complementari: quella del candidato, che sperimenta la frustrazione di essere ignorato o scartato senza spiegazioni, e quella del selezionatore, che spesso mostra comportamenti poco professionali – fretta, superficialità, rigidità organizzativa . Questa alternanza rende il libro realistico e umano, non un semplice pamphlet. Il lettore riconoscerà situazioni familiari, e potrà identificarsi in chi ha subito o provocato errori che, all’improvviso, emergono nella loro evidenza paradossale.
Un passaggio interessante riguarda l’individuazione delle motivazioni più frequenti di scarto: non competenze, ma aspettative economiche, affinità culturale percepita o richieste ingiustificate e mutevoli dell’azienda. La narrazione – con ritmo da romanzo breve – scava nella logica sottostante ogni casting, spesso frustrato da pregiudizi, processi aziendali poco strutturati o incapacità empatica.
Molto efficace risulta la dimensione etica del testo: vi si trovano spunti critici concreti (“quanto investite davvero in chi assume?”, “cosa comunicate a chi avete scartato?”) che stimolano non tanto la rabbia, quanto la presa di consapevolezza delle conseguenze reali delle procedure di selezione HR. Davanti al potere discrezionale che un HR o un manager detiene, il libro propone – con un linguaggio frizzante ma realistico – la necessità di maggiore rispetto e trasparenza nei confronti dei candidati.
Questo non significa che “Selezioni Inumane” sia un trattato di best practice per le selezione HR: non offre un modello operativo, ma punta sull’esperienza narrativa per scuotere organizzazioni e selezionatori – forse più di tante linee guida – invitandoli a riflettere sulle proprie scelte e sui processi standardizzati, senza maturità emotiva né capacità di rendicontare.
Tra i punti di forza, vanno citati:
- Sincerità: non c’è filtro né platitudo; emerge quello che molti vivono nel backstage delle selezioni.
- Tono ironico e accattivante: lo stile è scorrevole, brillante, mantiene l’attenzione alta .
- Immediatezza e utilità riflessiva: i processi raccontati si prestano a riflessioni rapide su equità, processo e cultura HR.
Naturalmente, il formato “quasi romanzo” riduce l’approfondimento metodologico. Non c’è una sezione didattica dedicata a suggerire modelli correttivi, né diagrammi o framework strutturati. Tuttavia, crediamo sia una scelta voluta: l’obiettivo è emozionare, indignare e spingere a ripensare, più che insegnare regole astratte.
Infine, la tonalità bilancia cinismo e empatia: Murano e Bonaventura mostrano tanto l’incompetenza degli umani (candidate o recruiter) quanto la fragilità dei meccanismi aziendali. Lo fanno senza vittimismi, ma invitando alla responsabilità individuale e collettiva.

Negli ultimi anni, abbiamo vissuto un’esperienza collettiva inedita: il distanziamento manageriale. Non solo lo smart working da casa o l’uso massiccio di piattaforme digitali, ma una nuova sfida per manager e organizzazioni: mantenere connessioni autentiche, cultura aziendale e senso di gruppo quando il contatto diretto diventa raro. In questo contesto si inserisce Vivere Smart, un “manuale di sopravvivenza” agile e funzionale che intende offrire risposte concrete a un cambiamento repentino del mondo del lavoro.
Il cuore del volume è il concetto di Smart Skills, descritte come capacità che vanno oltre lo smart working: sono abilità trasversali utili in ogni ambito della vita e del lavoro. Oltre alla competenza tecnica, serve flessibilità, intelligenza emotiva, capacità di comunicare e collaborare a distanza, gestione del tempo, auto-motivazione e attenzione alle relazioni digitali . Gli autori – con approccio sinergico e diversificato – fondono prospettive di coach, manager e professionisti di formazione e sviluppo: Lorenzo Comaschi, Paolo Donati, Alessandro Frè, Federico Ott, con il supporto di Marta Poretti – offrono un punto di vista articolato ma coeso.
Il testo, snello (216 pagine), privilegia un taglio operativo. Ogni capitolo è breve, ma densamente strutturato: contiene domande, checklist e spunti riflessivi che promuovono una lettura attiva. Così, il volume si presta sia a una consultazione rapida per un bisogno immediato, sia a una lettura integrale utile per imprendere un percorso di crescita personale e organizzativa.
Diversi sono i temi centrali esplorati: il mantenimento della coesione del team in contesti remoti, il bilanciamento tra lavoro e vita personale, il ruolo dei manager nel coltivare fiducia e cultura a distanza, l’uso consapevole delle tecnologie, la gestione intelligente delle riunioni online e la cura delle micro-ritualità aziendali. Il contributo di Marta Poretti sul benessere psicologico nei team remoti aggiunge una prospettiva importante, oggi spesso sottovalutata.
Il valore aggiunto del libro risiede proprio nell’equilibrio tra visione e praticità: non è un eserciziario di moda o un manuale ispirazionale privo di struttura, ma nemmeno un noioso trattato accademico. Al contrario, si tratta di un modello di lavoro smart skills applicabile giorno dopo giorno, senza fronzoli, ma con metodo e buon senso .
Le recensioni dei lettori confermano questa impronta: “lettura piacevole, consigli, esempi pratici e spunti interessanti per una vita smart in tempi di pandemia”, una guida agile e consultabile in base alle proprie esigenze.
In sintesi, Vivere Smart è un manuale ben progettato, rivolta a manager, HR, leader di team, consulenti organizzativi e a chiunque desideri padroneggiare le nuove dinamiche del lavoro ibrido e remoto. Offre una bussola per navigare con intelligenza emotiva, chiarezza comunicativa e competenze digitali, senza dimenticare l’importanza del benessere individuale e collettivo. Un testo di agile lettura, ma di profonda coerenza metodologica – utile ora, e probabilmente per molto tempo ancora.