Questa settimana ho letto un articolo postato su LinkedIn intitolato “23 domande da non porre mai alla fine di un colloquio di lavoro (se volete essere assunti)”. Una lettura di pochi minuti immerso nelle dichiarazioni dell’autrice che elencava 23 domande da non fare durante il colloquio di lavoro che, sinceramente, ho trovato banali e anche controproducenti. L’articolo di Business Insider del 2017 a firma di Rachel Gillett è un insieme di luoghi comuni messi insieme da un profano della materia, ed è evidente per chiunque abbia un minimo di esperienza nel settore. Basta cliccare sul nome dell’autrice per aprire il CV ove si legge che “Rachel Gillett è un’editor di lifestyle senior presso Insider che supervisiona un team che si occupa di viaggi, casa, vita alternativa, fotografia e funzionalità visive.” Sul profilo LinkedIn dell’autrice si cita anche un’esperienza “Produce career profiles, workplace trend features, service pieces for professionals, and jobs reports for Business Insider’s Careers section.” In pratica scrive di lavoro e carriere ma senza un’esperienza diretta in azienda nella mansione HR.
E’ sempre interessante leggere questi articoli ma lo sarebbe molto di più se i contenuti spingessero ad una riflessione seria, purtroppo questa volta l’articolo di Business Insider ha fatto un bel buco nell’acqua, riportando stereotipi e scollamenti dalla realtà. E’ comunque utile per i candidati seguire i trend del pensiero comune ma sono convinto che i selezionatori e gli HR dovrebbero comunque sganciarsi dai luoghi comuni e cambiare modo di pensare affinché, sotto il loro impulso, siano le imprese a cambiare modo di pensare e di relazionarsi con i candidati.
- Domande che segnalano un disagio sociale e relazionale da parte del candidato;
- Domande vietate ma che, in realtà, non dovrebbero essere vietate;
In merito al primo punto, suggerirei alla giornalista di considerare il fatto che cercare eventuali disfunzioni relazionali è parte del lavoro dei recruiter al fine di introiettare il candidato migliore che, con le proprie competenze e qualità, possa arricchire il gruppo di destinazione. Se questo discorso vi sembra cinico tenete presente che sono anni che probabilmente mettete like a tutti gli articoli che parlano delle soft skill, una delle competenze trasversali che vanno analizzate è proprio quella della capacità relazionale assieme e alla comunicazione, alla capacità di problem solving e compagnia cantando. Ognuna di esse va poi valutata in relazione alla posizione, al contesto, al team, eccetera, ma vanno valutate e meglio delle competenze tecniche. L’azienda è fatta di persone che si intersecano e interagiscono sul piano relazionale, inserire la persona sbagliata rischia di rovinare il team. E’ come quando si compone un puzzle, se manca una tessera non puoi inserire un pezzo simile devi inserire il pezzo preciso. Puoi schiacciare quanto vuoi se il pezzo non è quello giusto rischi di rovinare i bordi e magari, alla fine, dopo aver fatto tanta fatica per incastrarlo accorgerti che il disegno non è corretto e doverlo cambiare per forza. E allora ben vengano da parte del candidato le domande strane e inopportune che ci fanno capire se è la tessera mancante oppure no.
In merito alla seconda considerazione, uno dei suggerimenti che viene sempre dato e quello di “non parlare di stipendio durante il colloquio” come se chi cambia lavoro non lo facesse anche per lo stipendio. Mi pare che nessuno lavori per la gloria quindi lo stipendio DEVE essere argomento di selezione. Fino a prova contraria è l’azienda che fa la domanda di personale e le persone offrono le loro competenze è giusto che chi “vende” le proprie competenze sappia a quanto le cede fin da subito. Perché? Perché altrimenti perdiamo tempo tutti:
- Il candidato che sostiene anche più di un colloquio conosce alla fine il range, non l’importo effettivo della RAL ma il range, perde tempo ed investe energie per poi magari declinare l’offerta.
- L’azienda perde tempo perché porta avanti colloqui senza poi arrivare all’assunzione perché di fronte alla RAL proposta il candidato declina l’offerta.
Vista da questa angolazione la RAL dovrebbe essere nota fin dall’annuncio. E’ una questione di convenienza, per entrambi ma soprattutto per l’azienda. Lo so, sembra paradossale ma pensate ad un mercato del lavoro fatto di aziende che che nascondono la RAL fino alla fine del colloquio e tra di loro un’azienda che lo mette in chiaro fin da subito. Secondo voi verso quale azienda si dirigono i candidati? Provate ora a vederla dal punto di vista di un HR, in questo modo invece di cercare il candidati sono loro a venire da te. Invece di scartabellare centinaia di CV arrivano solo quelli che accettano le condizioni economiche già presenti nell’annuncio. Un sogno! Ma questa visione non avvantaggia solo gli HR ma l’azienda intera perché risparmia denaro nelle lunghe ricerche e in colloqui infruttuosi concentrandosi solo sui CV validi che arrivano. Meno ora di lavoro, uguale minor costo (ovvero maggior guadagno). L’azienda che “parla chiaro” dentro le mura ma anche fuori dai suoi confini è un’azienda che attira, il dubbio non piace a nessuno la chiarezza invece piace a tutti e fa risparmiare tempo (e denaro).
Piero Vigutto
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