Lo smartphone consegnato ai bambini, un dilemma su cui hanno dibattuto pseudo esperti di ogni ordine e grado, esperti veri e, come è giusto che sia, chiunque avesse un’opinione in merito. Ecco, partiamo da qui, dalle opinioni… rispettabilissime, tutte quante. Ma opinioni. Poi ci sono i fatti e quelli sono incontrovertibili. Le opinioni spesso fanno riferimento a condizioni di vita vissute o ad esperienze di prossimità “ad un mio amico (fratello, cugina, cognata, ecc) è successo che… e quindi…” purtroppo è un bias ben conosciuto, un errore di valutazione e di ragionamento piuttosto diffuso. Ma non è di questo che vorrei parlare oggi.
Da quando su LinkedIn è uscita la possibilità di fare sondaggi mi sono sempre trattenuto, di fatto quando fai un sondaggio i risultati sono pubblici. Se i risultati sono pubblici li possono vedere tutti quanti. Se li possono vedere tutti quanti e fai una domanda per individuare un trend che riguarda il tuo lavoro, li possono vedere anche i tuoi competitor che ti ringraziano per aver fatto il lavoro al posto loro (cito qui il riassunto di una discussione su questo strumento che ho fatto con la carissima amica Maria Letizia Russo, una delle autorità indiscusse in materia di LinkedIn e Marketing, e che ringrazio pubblicamente per i tantissimi spunti di riflessione che mi offre sempre).
Cara Letizia questa volta però ho ceduto ed ho fatto un sondaggio, non sul mio lavoro ma su una questione di cui si sta dibattendo parecchio negli ultimi tempi: l’utilizzo degli smartphone da parte dei minori. Su questo quesito si sono riempite pagine di giornale spesso, a mio modesto avviso, facendo più baccano che altro, utile certamente a vendere qualche copia in più o per fare clickbait ma non per aprire l’argomento ad una vera riflessione costruttiva. Ma andiamo per ordine.
Il sondaggio che ho lanciato su LinkedIn e sul mio canale telegram poneva un semplice quesito: Lo smartphone è uno strumento che può contribuire allo sviluppo e alla crescita e quindi va lasciato in uso ai bambini e ai ragazzi. I risultati sono stati questi che vedete:
Devo dire che i risultati non mi hanno sorpreso più di tanto. Di fatto rispecchiano l’orientamento dei commenti agli articoli che riportavano quasi sempre le opinioni di illustri quanto sconosciuti opinionisti e specialisti che spesso dipingevano i ragazzi come giovani irresponsabili incapaci di gestire i device e, contemporaneamente, il cellulare (mai il pc e il tablet) come gli strumenti del Diavolo capaci di irretire le giovani menti e di lobotomizzarle a suon di click. Più o meno ricordo che lo stesso dicevano dei videogames qualche anno fa ma, ancor prima (molto prima), ricordo che mia madre mi vietò di vedere Goldrake e Mazinga Z perché, secondo gli illustri opinionisti del tempo, avrei sviluppato il mio lato violento e mi sarei trasformato in un serial killer o giù di lì. Vorrei rassicurare quegli studiosi informandoli che, nonostante io abbia visto Goldrake, Mazinga Z e molti altri cartoni animati di di nascosto non sono diventato un delinquente, non ho mai infranto le leggi, pago le tasse e, che sia chiaro, nel mio giardino non c’è sepolto nessuno. Può essere quindi che si stiano prendendo fischi per fiaschi e che rischiamo di demonizzare qualcosa che il Demonio non è?
Andiamo per gradi e partiamo da alcune osservazioni generali per poi andare nel particolare. Credo che sia chiaro ormai a tutti che viviamo in una società digitale che ci offre l’accesso a tante informazioni semplicemente accendendo lo smartphone. Alzi la mano virtuale chi sta leggendo questo articolo sul cellulare… in realtà io so già dalle analitiche del mio sito che circa il 65-70% dei lettori fruisce dei contenuti che propongo direttamente dallo smartphone. Quindi è logico dire che ormai lo smartphone è la porta principale per accedere alle informazioni contenute nel web e, ovviamente, dico una banalità che tutti già sanno. La questione però, e questo è ancora un tema aperto, non è l’accesso alle informazioni ma la capacità di distinguere le fonti delle informazioni e dicendo questo sposto l’attenzione sugli adulti. Sono infatti gli adulti che spesso condividono gli articoli semplicemente leggendo il titolo, che si si infuriano per la notizia che (non) hanno letto, che cascano nel “se sei indignano metti like e condividi” senza appurare le fonti, che cascano nel “clicca due volte e vedi cosa accade” (nulla, è un modo per avere like) e potrei andare avanti mezz’ora.
Sia chiaro che non sto puntando il dito contro nessuno, né giovani né “diversamente giovani”, sto solo facendo delle considerazioni e la prima che voglio fare parte da una semplice domanda: per quale motivo accadono queste cose?
Risposta: gli adulti della mia età non sono capaci di gestire il digitale e i social. Perché? Perché non erano abituati (leggi: non sono stati educati) al digitale. Noi siamo nati in un’epoca in cui il telefono era quello di plastica grigia con la rotellona per comporre i numeri. Il primo pc che ebbi in regalo era un Commodore 64 con il registratore a cassette che serviva a caricare un gioco, ci metteva 4 ore e nel frattempo a pallone ci andavo a giocare pure io che il calcio non mi è mai piaciuto. Internet era per pochissimi e si “dialogava” con la macchina ancora in MSDOS. Ma soprattutto non abbiamo avuto nessuno vicino che ci insegnasse ad usare questo potente contenitore di informazioni. Poi è arrivato il web con le sue mille luci sfavillanti e la possibilità di partecipare alla discussione dell’agorà più grande che l’umanità abbia mai conosciuto. Il web è come l’armadio dei vestiti della nonna da cui usciva un capo per ogni occasione. Fin da piccoli ci hanno insegnato che d’estate si apre l’anta dei vestiti leggeri mentre d’inverno si apre quella dei vestiti pesanti e va fatto in questa sequenza perché se prendi i primi vestiti che ti capitano a tiro muori di freddo d’inverno o muori di caldo d’estate. Ecco, il web è un tantino più complicato dell’armadio della nonna. Mi viene semplice una domanda: quanto tempo abbiamo impiegato anni per capire come vestirci, per sapere dove infilare le mani per trovare i vestiti giusti, per comporre corretti abbinamenti di colori, eccetera? Tanto. Quanto tempo abbiamo dedicato ad imparare ad utilizzare internet e i social? Poco e soprattutto lo abbiamo fatto cliccando a caso e imparando sulla nostra pelle perché non abbiamo mai avuto mentori e/o insegnanti che ci accompagnassero in questo apprendimento.
Ora, vogliamo la stessa cosa per i ragazzi di oggi? Sinceramente non credo. E allora perché impedire loro di apprendere l’uso consapevole dei device fino a 13 anni? La questione non è avere o non avere uno smartphone ma essere o non essere educati al suo utilizzo. Credo che proibire a priori produca solo conseguenze nefaste, lo si è visto per tutti i “proibizionismi” che la Storia ci ha regalato. In un mondo sempre più digitale ed iper connesso vogliamo davvero proibire alle nuove generazioni l’accesso a questi fantastici strumenti e al mondo di cui sono finestra? Lo chiedo non perché ho paura che tornino a fare le ricerche con le enciclopedie ma che usino solo l’enciclopedia di casa invece di quella che sta alla biblioteca di New York, Londra, Parigi, Mosca, Pechino e il loro mondo si restringa alle pareti di mattoni invece di allargare i suoi orizzonti all’infinito mare di conoscenze e informazioni disponibili sul web. Lo chiedo perché se se proibiamo la digitalizzazione prima dei 13 anni, oltre ad essere anacronistici e a privarli di tante occasioni, prima o poi saranno costretti ad avere a che fare con questi strumenti e saranno adulti incapaci di usarli.
Prendiamo l’attualissima DAD come esempio, quante famiglie indipendentemente dalle possibilità economiche hanno un PC a casa, una stampante, un collegamento ad internet? Le cifre che ho letto qualche tempo fa erano agghiaccianti e mettono in luce il ritardo tecnologico del nostro Paese rispetto agli altri Stati europei. Anche se molto probabilmente la scuola ritornerà in presenza alla fine della pandemia, siamo sicuri che il digitale verrà scartato completamente oppure occuperà una posizione sempre più importante nella vita dell’italiano medio del futuro? Quell’italiano di cui parlo probabilmente oggi ha meno di 13 anni. Siamo davvero sicuri di voler ipotecare lo sviluppo socio-digitale delle nuove generazioni impedendo loro di avere un’educazione digitale e un accesso consapevole ed “educato” al web? Personalmente credo che un veto assoluto serva solo a coltivare l’ignoranza e, com’è avvenuto per ogni proibizione, un accesso non strutturato e abusivo (quindi pericoloso) al più grande contenitore di informazioni che l’umanità abbia mai avuto.
Proibire non serve a nulla e 13 anni sono troppi per “la prima volta” sul web. Ricordiamoci una delle cause del digital divide è stato il mancato accesso ai PC e ad internet, vogliamo contribuire allo smartphone divide? Evitare di investire in una cultura precoce al digitale significa rimanere ancorati al passato e quindi compromettere uno sviluppo futuro. Un po’ come chi all’inizio del XX secolo si rifiutò di investire nella Ford perché, a loro dire, le automobile erano solo una moda mentre i cavalli sarebbero rimasti per sempre… poi sappiamo com’è andata a finire.
Se legittimamente avete paura che i vostri figli accedano in maniera poco prudente al web ricordiamoci che esiste il parental control che serve a sorvegliare l’accesso ai social e al web anche da remoto. Ce l’avete sulla TV mettetelo anche al loro smartphone. L’errore che spesso viene compiuto dall’adulto è quello di immaginare un telefono con molte app dalla dubbia utilità, questo è vero ma in parte ed è un bias perché pensiamo al nostro telefono (anche qui alzi la mano chi ha le schermate zeppe di app che poi non usa). La realtà è invece un’altra, anche in questo caso attraverso il parental control possiamo limitarne l’utilizzo e l’installazione approvando invece l’utilizzo delle tantissime app educative a disposizione sugli store, app che possono contribuire allo sviluppo delle abilità matematiche, di osservazione, comprensione dei testi, giochi di logica che tanto bene fanno allo sviluppo delle attività cerebrali dei bambini e dei ragazzi. Vogliamo privarli di questo perché noi per primi non sappiamo usare lo smartphone o perché non abbiamo tempo (leggi voglia) di stare con loro mentre accedono ad internet?
Ora, se riproponessi lo stesso sondaggio, come rispondereste?
Piero Vigutto
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