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Parole per cambiare rotta

E’ il libro di David Bevilacqa, AD di Ammagamma, che inizia a  partire da un bizzarro incidente in aeroporto, ha deciso di fermarsi a riflettere sul suo “viaggio” per offrire degli spunti utili al manager per cambiare rotta (e magari vita): uscire da un sistema basato sullo status per approdare alla valorizzazione di competenze e relazioni e l’ha fatto attraverso 10 (+1) parole chiave – da tempo a errore, da talento ad amicizia, da management a immaginazione –parole con cui dovremo confrontarci nei prossimi anni per stare al passo con le trasformazioni del lavoro e degli stili di vita.

David Bevilacqua dice:

Le prime tre Parole (tempo, fortuna, amicizia) come parole riferite al contesto in qualche modo “esterno”, caratterizzato da elementi che in buona parte non possiamo controllare.

Tempo: C’è stato un momento in cui la mia percezione del significato di ricchezza è passato dal possesso di beni al possesso di tempo. Per comprendere meglio come capitalizzare il tempo l’ho diviso in 3 macro aree e solo da un più corretto bilanciamento di queste, ho ritenuto potessero uscire delle indicazioni utili per costruire una nuova ricetta per riprogrammare la mia vita professionale e personale:

  • Il tempo che vivo
  • Il tempo che consumo
  • Il tempo che perdo

Fortuna: da una nuova concezione del tempo a una nuova concezione di come si abita il tempo. La fortuna agisce nella storia determinando le strade che prendiamo, determinando le persone che incontriamo, il luogo e il momento in cui le cose prendono forma. Il kairos è la connotazione qualitativa del tempo reso processo, del potenziale liberato grazie alla combinazione delle variabili.

Amicizia: la fortuna determina, tra le altre cose, le persone che incontriamo. Che siano conoscenze di conoscenze, o che siano persone che incrociamo sul nostro cammino, le amicizie danno valore al tempo, danno forma alla fortuna. Le amicizie ci mettono nella possibilità e nelle condizioni di poter decidere chi vogliamo essere e con chi. Non definiscono chi siamo sul mondo del lavoro, ma possono influire sulla nostra storia professionale e possono definire il modo in cui viviamo le relazioni inter-personali, anche nel mondo del lavoro.

Le altre tre (fiducia, coerenza, immaginazione) riguardano il contesto “interiore”, il comportamento, l’atteggiamento, lo stile.

Fiducia: se l’amicizia è un atto di fiducia, la concessione di fiducia al di fuori dell’amicizia è un atto di coraggio (se non di coraggio, sicuramente di esercizio di una scelta consapevole). Nel mondo del lavoro significa esercitare carisma, attivare processi di responsabilizzazione, e contemporaneamente imparare a guadagnare fiducia e imparare a ridimensionare la propria coscienza di sé. La fiducia è forse la quintessenza dell’equilibrio relazionale, l’amplificazione della tensione dialettica che permane tra le persone, l’elettricità che genera movimento.

Coerenza: non può esistere, però, vera fiducia, in assenza di una capacità di costruzione di una dimensione di coerenza. Che riguardi il perseguimento di una visione, o il mantenimento di uno stile comportamentale, la coerenza è l’elemento che trasmette stabilità, che permette ad una persona di non sentire le vibrazioni e gli scossoni (fisiologici e immancabili) della costruzione della quotidianità, in ambito professionale e privato. È la linea di continuità nell’incontrollabilità dei fenomeni.

Immaginazione: Senza immaginazione non può esserci innovazione e senza immaginazione non può esserci coerenza, perché la crescita sarebbe sempre e soltanto autoreferenzialità stabilizzata. Sarebbe il rimanere uguali a se stessi (che non implica cambiamento), ma non fedeli a se stessi (che implica il coraggio della coerenza nel cambiamento). Esercitare l’immaginazione significa riuscire a creare visione. Senza immaginazione la visione sarebbe solo consequenzialità, ma mai slancio. Se la fortuna crea le condizioni per permetterci di fare qualcosa, l’immaginazione ci permette di tradurre le condizioni in pensiero innovativo, in creatività, in liberazione.

Le altre tre (scopo, errore, talento) riguardano la concretezza del lavoro e il nostro modo pratico di viverlo.

Scopo: la visione non è direttamente purpose, ma orizzonte all’interno del quale si vuole costruire un purpose. È lo stile che si vuole adottare. Senza lo scopo, l’immaginazione diventa psichedelica. E’ la dimensione in cui il sogno prende forma perché trova un’applicazione, perché si colloca nel mondo in funzione di un impatto. Diventa reale perché si inserisce nella dinamica di ciò che esiste. In un certo senso, è il passaggio nel mondo degli angeli de Il cielo sopra Berlino, nel momento in cui l’angelo prende corpo fisico per salvare il bambino che cade. Senza scopo rimaniamo “vanità delle vanità” (letteralmente sarebbe “fumo del fumo”, inconsistenza al quadrato…)

L’ultima (Management & Leadership) è il punto di convergenza e la sfida della concertazione, dell’armonizzazione.

Talento: il talento è quello che abbiamo in tasca, che ci è stato dato dalla fortuna (o dagli dei, o dalla famiglia, o da Melquiades al mercato di Macondo…) o è altro? Oggi la retorica dell’avere talento ha destabilizzato la narrativa della fatica, a favore della narrativa della straordinarietà, dell’eccellenza innata (come se l’eccellenza non fosse da perseguire con sudore). Il talento è un tesoro d’oro da scoprire o piuttosto la fatica delle miniere, dell’estrazione, della lavorazione, della fusione..?

Errore: Se l’immaginazione astratta ci salva dal rischio, il perseguimento di uno scopo ci espone all’errore. Finché non dico dove voglio arrivare, nessuno avrà il dubbio che io mi sia perso. L’errore però è una dimensione potenziale di perfezionamento, di autocoscienza, di ripensamento del contesto e delle relazioni, dello stile che voglio adottare. E’ la possibilità di farsi delle domande. Ho sbagliato? Dove ho sbagliato? Non ho letto correttamente il contesto o non ho saputo usare quello che avevo a disposizione?

Management & Leadership: il manager deve riuscire ad armonizzare tutte le complessità e le problematiche che emergono, volenti o nolenti, dall’interazione e dalla ricombinazione costante tra tutte le parole precedenti. Aiuta a comprendere come trovare il punto d’equilibrio tra dimensione esterna e dimensione interiore (sempre limitandosi al modo di vivere il lavoro e il valore del lavoro), aiuta a costruire il talento, a focalizzare e perseguire lo scopo, ad evitare o ad affrontare l’errore. Ha un ruolo di responsabilità e una funzione di responsabilizzazione. È l’attore che abilita l’esercizio della libertà individuale nel rispetto di un progetto (personale o collettivo) fondato sulla condivisione.

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Piero Vigutto

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