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La neurocomunicazione. La parola all’esperta Silvia Margoni

Consulente e formatrice aziendale, Silvia Margoni è titolare della società Links4Brain operante nel campo della neuro-comunicazione attraverso progetti sartoriali per le aziende nell’ambito Sales e Team di lavoro. Silvia è una professionista con più di 10 anni di esperienza nel marketing e nel management, di cui quasi 6 nell’affascinante mondo del neuromarketing.

Economista di vocazione (tre titoli di studio in questo campo di cui uno conseguito all’estero), ma dopo aver lavorato in differenti realtà anche come analista e consulente realizza come la psicologia possa essere un alleato vincente per rendere le persone veramente efficaci nelle relazioni con gli altri. Per questo ha poi conseguito un Master in Analisi Scientifica del Comportamento Non Verbale e nel 2021 conseguirà una Laurea Magistrale in Psicologia del lavoro e delle organizzazioni.

Oggi, guida la sua società di consulenza nel campo della neuro-comunicazione. Il team di Links4Brain ogni giorno analizza i comportamenti dei consumatori dei collaboratori, ma soprattutto allena imprenditori e manager alla conoscenza dei meccanismi cerebrali per incrementare le performance aziendali.

Qui di seguito il colloquio con Silvia che ho voluto approfondire a #CoseDellAltroManager

Se ti dicessero “Ciao Silvia, i nostri venditori sono demotivati, vorremmo che facessi loro un intervento formativo” o ancora “Ci piacerebbe che il tuo team ci aiutasse a creare una strategia comunicativa. Però solo con strumenti tradizionali, perché i nostri consulenti fanno fatica anche solo a fare video call” tu cosa risponderesti?

Ok, questo progetto ha tutte le carte in regola per fallire. A meno che non si parta dalle radici.

In che senso?

Nel senso che non si motivano le persone attraverso un mero intervento formativo, e una forza vendita poco coinvolta non incrementa magicamente le proprie vendite solamente perché arriva una strategia di marketing nuova di zecca. Il cuore del lavoro di Links4Brain sta proprio qui: sales & marketing non sono funzioni separate dalle HR, bensì fortemente integrate. Perché? Perché alla base di tutto c’è il nostro cervello: percezione, irrazionalità, circuiti delle ricompense, relazioni, resistenza al cambiamento… I processi cognitivi guidano le nostre scelte e le nostre azioni, sia in quanto consumatori sia in quanto collaboratori di un ecosistema aziendale. E un team poco motivato risulterà anche decisamente poco performante.

Cosa si intende con motivazione?

Le aziende, si sa, cercano di selezionare persone “motivate”: collaboratori che sono spinti a fare il loro lavoro “per il gusto o il piacere di farlo”, che vivono una sorta di spinta interiore e di commitment personale. In sostanza, le aziende vogliono lavoratori che nonostante tutto siano felici di fare ciò che fanno. Questo concetto viene definito dalla Psicologia del Lavoro come motivazione intrinseca. La motivazione estrinseca, al contrario, è determinata da elementi esogeni che possono consistere, ad esempio, in ricompense: lodi, incentivi aziendali, avanzamenti di carriera, remunerazione ecc. La motivazione estrinseca richiede però risorse ed energie, è faticosa da mantenere nonché collegata principalmente alle azioni degli individui (leader e colleghi in prima istanza). Peccato che le aziende si curino di selezionare individui con forte motivazione intrinseca ma poco facciano per mantenerla. Perché sì, anche la motivazione intrinseca può scemare per via di un fenomeno chiamato ego depletion o esaurimento dell’ego.

Puoi spiegarti meglio?

Uno degli studi più famosi in questo ambito è stato condotto nel ‘98 da Baumeister e Tice. I ricercatori suddivisero i partecipanti in due gruppi e li portarono in una stanza con un tavolo imbandito di leccornie: il primo gruppo poteva mangiare dolci a volontà, l’altro doveva guardare ma resistere alla tentazione di toccare alcunché. Al termine di questa fase, i partecipanti dovettero cercare di risolvere un complesso esercizio di problem solving.  Il risultato? I soggetti del secondo gruppo (quello che aveva dovuto trattenersi) resistettero mediamente meno della metà del tempo rispetto a chi si era saziato prima di arrendersi. Ecco spiegato come una continua repressione dei comportamenti porta ad una progressiva riduzione dell’interesse e del coinvolgimento da parte delle persone, con relative conseguenze in termini di risultati. Ma non solo: molte altre ricerche negli anni seguenti portarono agli stessi risultati. Addirittura, studi condotti con ElettroEncefaloGramma rivelavano una significativa differenza nel segnale Error-Related Negativity tra le due tipologie di gruppi – un segnale ERN più debole si verifica quando i partecipanti non si rendono conto di commettere errori durante un certo task. Tutto questo per farci comprendere che, quando reprimiamo le nostre emozioni, perdiamo focus e motivazione determinando performance più basse. E le aziende pullulano (purtroppo) di serial killer motivazionali.

Potete ascoltare o vedere l’intervista a Silvia Margoni qui sotto.

Potete contattare Silvia su LinkedIn e guardare i suoi interventi su YouTube.

Piero Vigutto

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