Ivan Ortenzi è Chief Innovation Evangelist del Gruppo Bip. Già Managing Director di Ars et Inventio. Appassionato di Corporate Innovation e Corporate Creativity. Con FrancoAngeli è autore di “Innovation Manager ” e co-Autore di “Intelligenza Artificiale”.
E’ complicato e al tempo stesso complesso definire le caratteristiche dell’innovatore che, negli anni, sono state declinate in maniera diversa nei manuali, di certo possiamo però dire che non esiste un unico tipo di innovatore. Sono però riconoscibili i tratti che definiscono la propensione all’innovazione. Il primo è la capacità di analizzare e mettere in discussione le regole e lo status quo del gruppo, ovvero la propensione al “perché?” che significa predisposizione alle giuste domande che, mettendo in discussione alcune questioni, offrono la possibilità di sviluppare un pensiero diverso, alternativo, migliore e, chiaramente, innovativo. La seconda propensione è la cura per i dettagli che spesso diventa quasi ricerca della perfezione che significa trovare l’opportunità dove gli altri vedono le routine consolidata e immutabile. E poi l’innovatore non si prende quasi mai sul serio, è una persona auto ironica ed è quella predisposizione a prendersi in giro che li porta poi ad avere un’ottima relazione con le persone che coinvolgeranno nei progetti di innovazione. Ma sicuramente l’innovatore non innova mai da solo, se la creatività e l’intuito sono attività singole, l’innovazione è un bravo gestore di persone perché l’innovazione è un processo collettivo. Per descrivere l’attività degli innovatori possiamo usare la metafora del regista cinematografico che si circonda di persone specializzate in ruoli che il regista conosce in maniera superficiale, come il regista l’innovatore è un “grande gestore di competenze terze”.
In questo modo gli innovatori sono adattabili al contesto che si trovano davanti. I Chief Innovation Officer hanno una grande diplomazia che gli serve per trattare con le persone, è dotato di una grande comunicazione necessaria per trasmettere i parametri di innovazione e di tenacia perché non bisogna mai abbattersi durante il lungo processo dell’innovazione. C’è chi li chiama rivoluzionari o ribelli, ma forse la migliore definizione degli innovatori e delle innovatrici è “irrequieti”.
Ma gli innovatori dove si trovano? Si fanno crescere all’interno delle imprese o si selezionano dall’esterno? Ovviamente non è facilissimo rispondere a queste domande. L’innovazione ha negli anni ha dato vita ad una vera e propria disciplina che parte dal presupposto di standardizzare l’efficienza dell’innovazione e personalizzare l’efficacia dell’innovazione e per fare questo ci vuole un approccio strutturato, sistematico e reiterato nel tempo coerente con con il piano strategico aziendale.
In azienda non mancano gli strumenti per fare innovazione, ma spesso manca la scelta strategica. Qualsiasi innovatore o innovatrice a cui manchi un approccio strutturato, sistematico e reiterato nel tempo coerente con con il piano strategico aziendale è destinato a fallire. Se poi vogliamo pensare anche agli strumenti questi sono differenti a seconda delle condizione in cui gli innovatori si trovano ad operare. Capita spesso che le imprese si inventino le proprie metodologie di innovazione, nulla vieta infatti che ci sia questa attività di integrazione e sintesi tra gli strumenti a disposizione che spesso dà vita ad ulteriori mezzi di innovazione. Di fatto la struttura di risorse e persone che accoglie gli innovatori e le innovatrici è costruita sulla cultura di crescita aziendale. Va da sé che la cultura dell’innovazione è una attività Top-Down e non potrebbe essere diversamente.
O c’è la disponibilità dei vertici d’impresa a portare avanti questo tipo di attività, oppure non esiste innovazione.
Piero Vigutto
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