Prendi un respiro. Era un suggerimento che trovai in un articolo che recitava più o meno così: per una corretta soluzione dei problemi prendi un bel respiro e poi vai avanti. Secondo l’autore era una strategia più che sufficiente per aiutarti a trovare la via corretta verso la il raggiungimento degli obiettivi.
Rimango scettico sul fatto che un unico respiro sia ti offra magicamente la capacità di problem solving ma quell’indicazione fu per me come “la madeleine” per Proust quando il solo assaporare il biscotto aveva riportato alla mente del protagonista il ricordo delle esperienze passate. Ricordai la mia maestra delle elementari che ci diceva: se non riuscite a risolvere il problema (di geometria) fate altro per 10 minuti e poi tornateci sopra. Funzionava.
Spiegata così sembra che il problem solving sia una capacità quasi magica di cui non tutti sono dotati e che si può apprendere tramite percorsi formativi ed esperienziali. Come direbbero gli americani un mind setting che porta al goal achievement. Una qualità che evita, a chi la possiede come dono naturale, non solo di confondersi con chi ne è sprovvisto ma che gli consente di sopravvivere, raggiungere i propri obiettivi e vincere le sfide che la vita ti pone di fronte fino al raggiungimento del pieno successo. Brave persone gli americani, ma con sta storia del successo ad ogni costo a volte esagerano un po’.
La strategia della mia maestra funzionava perché in quei 10 minuti non pensavi al problema, vivevi un’inconsapevole sospensione di giudizio che ti portava ad una riorganizzazione mentale e ad avere quello che in psicologia si chiama insight. Un insight letteralmente possiamo tradurlo con “intuizione immediata ed improvvisa”, come quella che hai quando sbatti la testa contro un muro e ad un certo punto comprendi che insistendo con le capocciate l’unico risultato che otterrai sarà quello di spaccarti la testa perché il muro non si sposterà mai. In quei 10 minuti la sospensione di giudizio dava la possibilità al cervello di riorganizzarsi e di capire che il muro si poteva anche scavalcare. Fu la prima lezione di problem solving organizzato che ricevetti nella vita ma non era sufficiente.
Quei 10 minuti servivano anche a darci la possibilità di osservare la situazione da lontano per avere un quadro generale, un po’ come quando vai ad Aquileia a vedere la basilica. Splendido esempio di architettura antica che viene visitata da tutte le scolaresche del Friuli e non solo, e a noi che siamo i suoi vicini di casa da bambini ci è toccato vederla almeno una volta all’anno. Quando la giuda ci illustrava i mosaici noi fanciulli potevamo vedere solo una parte dei 750 metri quadri circa di mosaico del IV secolo dopo Cristo e quando dico una parte intendo una piccola parte, un particolare. Un pesce, una colomba, il quarto posteriore di un cavallo e tutti eravamo stupiti dall’abilità dei mosaicisti aquileiesi e al contempo annoiati perché tutto è bello… la prima volta. Ma la verità è che quei mosaici li puoi comprendere solamente se li vedi dall’alto nella loro interezza. Solo dopo averne analizzato gli intrecci puoi apprezzare davvero il particolare. Prima quel metro quadrato che osservi dalla passerella è solo un pesce, solo una colomba, solo il quarto posteriore di un cavallo. Ma da lontano quel metro quadrato è un elemento importante di un racconto musivo interessantissimo e che da vicino non avresti mai compreso.
Nel nostro percorso verso il problem solving solo dopo questi due passaggi eravamo pronti per la prima fase del goal achievement: scartare ciò che non ci serve. Un aspetto fondamentale che ci aiutava ad eliminare i dati che non ci servivano. Questa operazione in qualche modo ci aiutava ad illuminare la strada verso l’obiettivo. Ci sentivamo un po’ come Occam che cercava il sentiero a colpi di rasoio, anche se a quel tempo non avevamo assolutamente idea di chi fosse, tuttavia l’operazione dava i suoi frutti.
La mia maestra non teneva corsi di coaching o di problem solving, però sapeva il fatto suo. Di certo le strategie sono moltissime, sicuramente ce ne sono altre di più raffinate, ma questo approccio casereccio era una base su cui noi bambini potevamo esercitarci e fare i nostri esperimenti. A volte andava bene, altre un po’ meno bene, ma non importava. Quello che contava era imparare ad usare la testa, ragionare, guardare da lontano il tutto nella sua interezza e al contempo il particolare imparando a scartare quello che non ci serviva.
C’era un altro ingrediente in quella magia che la maestra non ci spiegò ma lasciò che ci arrivassimo da soli. Le prospettive multiple sono fondamentali. Avere più occhi che guardano e tante menti che ragionano offrono maggiori possibilità di raggiungere gli obiettivi. Questo forse fu l’insegnamento più grande che ci trasmise.