Luna, 20 luglio 1969 alle 20:17:40 UTC allunaggio dell’Apollo 11. Sei ore più tardi Neil Armstrong fu il primo uomo a posare un piede sul nostro satellite, 19 minuti dopo arrivò anche Aldrin. Un evento storico come storica fu la frase che Armstrong pronunciò “That’s one small step for a man, one giant leap for mankind” (un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l’umanità).
L’uomo era andato sulla Luna, quel satellite che illuminava le notti dei nostri progenitori radunati attorno al fuoco e che sembrava un confine lontanissimo, era stato superato. L’umanità non sarebbe mai stata più quella di prima perché, per lo spirito che ci accompagna da quando siamo scesi dall’albero ormai cinque milioni di anni fa, se l’essere umano supera un confine ne cerca subito un altro. Il prossimo passo? Marte.
Non sono qui a parlare del futuro, di fatti storici o di astronomia. Ma di quello che accade oggi e lo faccio durante la Giornata internazionale della donna che ricorre convenzionalmente l’ 8 marzo di ogni anno per ricordare sia le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne. Ecco le conquiste, l’umanità è fantastica, siamo riusciti ad andare sulla Luna, progettiamo viaggi su Marte ma sulla Terra siamo fermi a secoli fa e i dati sono sconfortanti.
Non voglio parlare dei delitti che purtroppo occupano spesso le prime pagine, voglio invece puntare il riflettore sulle violenze che non occupano le pagine dei giornali ma che comunque ne ledono la dignità. Pensiamo che ancora oggi a parità di genere nel mondo del lavoro non è assolutamente garantita tanto che l’ILO ha in agenda una serie di obiettivi importanti da realizzare nel prossimo futuro. Ammirevole sforzo perché, il rapporto 2020 del Word Economic Forum in merito al gender gap afferma che non vedremo la reale parità prima di un secolo circa. L’Italia, che nel 2019 era al settantesimo posto nell’indagine sulla diversità di trattamento nel 2020 è stata retrocessa al settantaseiesimo posto su 153 Paesi. In Europa peggio di noi solo Malta.
La violenza di genere non è solo quella delle prime pagine ma anche quella silente del contratto di lavoro con, a parità di competenze, una differenza di inquadramento rispetto al collega uomo. E pensare che a scuola si diplomano/laureano prima e con voti più alti e quindi nonostante la certificazione delle competenze che avviene attraverso il titolo di studio le metta ai primi posti nella “classifica della preparazione” risultano mediamente discriminate in termini di stipendio.
Il Covid non ha poi semplificato le cose, oltre ad essere un Paese in cui, nonostante la migliore preparazione scolastica, lavora solo la metà della forza lavoro femminile a perdere il lavoro in un anno di pandemia sono state soprattutto le donne: su 400000 mila posti di lavoro persi il 75% circa erano donne. E purtroppo non è finita, ora che l’Italia è tornata nuovamente a colorarsi, indovina un po’ chi rimane a casa ad accudire la prole?
Il 03 marzo 2021 c’è stato un convegno che abbiamo organizzato assieme a Better Place Project e a AIDP Triveneto sulla parità di genere intitolato “Si scrive parità di genere, si legge migliori prestazioni e clima positivo”, anche in quell’occasione è emersa la grave situazione delle molestie sessuali che ancora infestano le nostre aziende. Parliamo di cifre impressionanti ma, anche se ad impressionare dovrebbe essere una sola denuncia, purtroppo la gran parte delle molestie non viene neppure denunciata per paura di ripercussioni successive, di affrontare un processo dove alla sbarra non viene spesso messo il colpevole ma la vittima, degli esiti incerti delle sentenze. Proprio per questo il movimento #metoo ebbe una grandissima risonanza sui social ove le vittime potevano alzare la mano e dire “anche io”. Furono milioni a dimostrazione che il fenomeno è ancora radicato nella società.
Riprovevoli e, tuttavia, pubbliche situazioni che minano la serenità di metà della popolazione e non è poco. Ma se sulle pagine vengono riportate le notizie più eclatanti molte situazioni rischiano di essere vissute come normali. Prendiamo tutti gli atteggiamenti vissuti nella quotidianità ove la separazione dei lavori domestici o le cure parentali sono delegate ad un genere o all’altro. Questo non fa che complicare e rallentare l’evoluzione culturale sociale impantanando la nostra società in un immobilismo sessista che non trova più scusanti. Anche le frasi che insinuano una condizione sono non solo spiacevoli ma anche fuori luogo “Cosa ne sai tu di (argomento) che sei una donna?” sono umiliazioni gratuite che si possono tranquillamente evitare a se questo pensiero viene portato avanti il grande passo dell’umanità non verrà mai compiuto, altro che Luna!
E non pensiamo che sia una cosa che non riguarda, riguarda tutti. Se metà delle donne in Italia non lavorano il PIL sopra 1% ce lo scordiamo. Ciò che diciamo viene ascoltato dai bambini che imparano a mancare di rispetto invece di rispettare. Se paghiamo di meno una persona perché per caso appartiene ad un genere e non ad un altro è una questione familiare e quindi sociale (quindi di tutti). Insomma, il gender gap non è più qualcosa che riguarda solo le donne ma riguarda tutti noi.
I dati che ho riportato sono conosciuti e la loro ripetizione in questo articolo potrebbe renderlo quasi banale e allora cerco di fare quello che mi piace di più, ribaltare il punto di vista e vedere la situazione da un’altra prospettiva, quella maschile. “Se hai dubbi, uccidi” frase di Sylvester Stallone in Rambo. Spazzare via l’opposizione o chiunque ti possa arrecare un danno è l’azione più facile da compiere: niente competitor, niente problemi, strada spianata. Da questo punto di vista il gender gap sembra avvantaggiare l’uomo perché se è vero che le donne sono più preparate è altrettanto vero che se stanno a casa non sono un intralcio alla carriera. A primo acchito sembra quindi vantaggioso che metà della popolazione femminile non lavori e l’altra metà fatichi il triplo di un uomo per avere metà delle sue gratificazioni… infatti sembra vantaggioso ma non lo è, anzi, questo pensiero mostra tutti i limiti di chi lo abbraccia. Bloccare lo sviluppo di qualcuno, soprattutto di chi è più preparato, riduce la competizioni tra saperi che è la base del progresso, condannando la qualità del pensiero e quindi dei risultati all’appiattimento verso il basso. Se il contraddittorio costruttivo ed intelligente viene bloccato sul nascere allora avremo di colpo gettato alle ortiche molte possibilità di sviluppo. Ad essere danneggiato sarà tutto il gruppo (di cui il singolo fa parte). E’ come darsi la zappa sui piedi e ridere perché l’unghia è diventata nera, semplicemente folle però è quello che sta accadendo. Il fatto che sia una pratica diffusa offre la dimensione del grado medio di furbizia che circola nella nostra società. Il mio è un appello molto semplice che ha il sapore dell’egoismo: valorizzare l’altro(a) al fine di avvantaggiare se stessi. Se schiacciamo l’altro(a) a subire un danno siamo innanzitutto noi.
Ma vogliamo davvero che tante competenze e capacità vengano disperse solo per un pregiudizio? Non vogliamo essere tutti più riflessivi e capire che a rimetterci siamo davvero tutti? Se, come dice Silvia Zanella, ad essere appetibili per le imprese nel prossimo futuro saranno le persone che saranno capaci di esprimere competenze fino ad oggi ascritte al mondo femminile vogliamo davvero rinunciare a chi ci può insegnare qualcosa? Davvero?
Credo che sia abbastanza chiaro quindi che il nuovo confine da raggiungere non è quello marziano, il nuovo confine da raggiungere è culturale altrimenti arrivare sulla Luna, o su Marte non avrà molto senso per l’umanità. E’ un piccolo passo per un uomo e un grande passo per l’umanità. Siate egoisti, non fate quel passo per l’altro(a), fatelo per voi stessi.
Piero Vigutto
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